L’abitudine al concetto che migliorare le prestazioni sanitarie corrisponde a un aumento delle spese causa terribili frustrazioni. Ulteriore conseguenza è la scarsa propensione a cercare soluzioni agli annosi problemi dell’assistenza sanitaria perché tanto non ce lo possiamo permettere. Bisognerebbe almeno in parte capovolgere questo pensiero negativo, e invece di chiederci “quanto costa?” dovremmo chiederci “cosa ci guadagniamo?”. Questo atteggiamento dovrebbe riguardare qualsiasi attività di miglioramento delle cure, ma quando parliamo di innovazione le cose si fanno perfino più complesse.
Prevedere investimenti progressivi ci sembra accettabile, eppure nell’innovazione percepiamo un rischio, quello di fallire, che difficilmente siamo disposti a correre. Dobbiamo ricordare che l’essenza dell’innovazione è sempre quella di creare nuovo valore, quindi, anche se non sempre valorizzabile in senso monetario, il ritorno è garantito. Il bello è che alcune strategie per l’innovazione sono basate proprio sul risparmio e sul de-investimento. Lo sanno bene i paesi in via di sviluppo dove è indispensabile raggiungere risultati con risorse o infrastrutture limitate. Per esempio se visitate un ospedale in uno di questi paesi, difficilmente vi imbatterete in un’incubatrice, un dispositivo troppo costoso e dipendente dall’energia elettrica che potrebbe mancare da un momento all’altro. Con un centesimo della spesa, i prematuri possono essere ospitati in un sacco termico con uno speciale strato isolante indipendente dall’energia elettrica e autonomo per almeno sei ore [1]. Senza contare il fatto che questo dispositivo favorisce il contatto materno infantile che nel prematuro è importante.
Nell’innovazione percepiamo un rischio, quello di fallire, che difficilmente siamo disposti a correre.
Oppure prendete l’India, che ha una popolazione numerosissima e con un’infrastruttura sanitaria troppo debole per garantire percorsi di cura individuali così come siamo abituati a considerarli noi. In questo paese molte strutture sono costruite con un modello hub & spoke. Per esempio, a causa dello scarso numero di specialisti in oftalmologia, una rete di telemedicina permette di effettuare screening su larga scala per alcune patologie come la cataratta [2]. I pochi specialisti sono concentrati in alcune strutture, mentre gli esami vengono eseguiti con un dispositivo portatile a basso costo utilizzabile anche da personale scarsamente qualificato in strutture satelliti.
E se si risparmia si può reinvestire. Nell’innovazione naturalmente.
Un’altra possibilità è de-innovare [3]. Passare cioè da alcune pratiche mediche moderne ad altre meno costose ed altrettanto efficaci e sicure che gli studi scientifici hanno rivalutato. Da noi ci sarebbe molto da fare. Un veloce pensiero agli esami di screening di routine e ci rendiamo conto che in alcuni casi essi hanno lo spiacevole effetto di avere un gran numero di falsi positivi. Se poi ragioniamo sui farmaci comunemente prescritti, è facile riconoscere come sarebbe spesso possibile tornare indietro e scegliere molecole meno costose e altrettanto efficaci, come dimostrato dagli studi più recenti. La guida in questo tortuoso percorso è sempre rappresentata dalle evidenze contro le semplici opinioni alle quali è talvolta difficile resistere. Non c’è contraddizione nel pensiero che anche de-innovare è un’innovazione. Di fatto, quest’ultima è una disciplina, non un semplice pensiero proiettato nel futuro. E se si risparmia si può reinvestire. Nell’innovazione naturalmente.
Bibliografia
[1] www.embraceinnovations.com
[2] Ennovent investee ERC Eye Care opens first hospital in Sivasagar, Assam. Ennovent, 11 febbraio 2019.
[3] Ubel PA, Asch DA. Creating value in health by understanding and overcoming resistance to de-innovation. Health Aff . 2015;34:239-44.