Le scelte di acquisto e di consumo sono di fondamentale importanza per la sostenibilità, sia sotto il profilo ambientale sia da un punto di vista sociale. Questo aspetto risulta ancora più vero nelle cosiddette “società dei consumi”, il cui modello economico si basa sulla crescente produzione e sul continuo acquisto di merci. Oggi infatti il consumo è diventato un elemento centrale nella costruzione della nostra identità. Si consuma per distinguersi o per sentirsi parte di qualcosa. Un cambiamento, questo, che se da un lato si lega a forme di consumo eccessivo, in fasce sempre più ampie della popolazione, dall’altro sembra aiutare il diffondersi di scelte di acquisto che tengono conto non solo del prezzo e della qualità percepita dei prodotti, ma anche del comportamento dei produttori e della sostenibilità ambientale e sociale dell’intera filiera produttiva. Così facendo l’economia si ricontestualizza nel sociale, tornando ad essere uno strumento a servizio del benessere collettivo. Ne sono esempio tutte quelle iniziative che negli ultimi anni hanno reso il consumo critico una forma di lotta in sostegno ai lavoratori, contro la mafia, o con le campagne di denuncia del caporalato e a supporto dei migranti che nelle campagne del Suditalia vivono vere e proprie forme di schiavitù.
A livello internazionale il consumo responsabile è sempre più al centro dell’attenzione, come attesta l’obiettivo numero 12 dei sustainable development goals, l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Nonostante un certo ritardo rispetto agli altri paesi europei – in particolare quelli del Nordeuropa – anche in Italia il consumo responsabile sta assumendo rilievo, con il moltiplicarsi di iniziative di consumo critico positivo e il diffondersi di iniziative di buycottaggio (l’acquisto consapevole) dopo la fine del periodo delle grandi campagne di boicottaggio degli ultimi anni novanta. Ciò ha provocato due cambiamenti all’interno delle organizzazioni dell’economia ecosolidale: da un lato, si osserva una variazione di scala d’azione di molte organizzazioni prima impegnate in campagne internazionali che sempre di più tendono ad assumere una dimensione locale; dall’altro, questo ha portato al cambiamento del profilo del consumatore critico.
Il consumo è diventato un elemento centrale nella costruzione della nostra identità.
I numeri del consumo critico
Il Rapporto sul consumo responsabile in Italia 2018, infatti, permette di fare chiarezza su un fenomeno ancora poco studiato con dati aggiornati e rappresentativi della popolazione italiana e di fare un confronto tra la situazione odierna e quella dell’inizio degli anni duemila. I dati sono stati raccolti tramite una survey promossa dall’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (Ocis) e condotta da Swg nel febbraio del 2018 su un campione di un migliaio di cittadini italiani maggiorenni, seguendo le stesse domande del sondaggio del novembre 2002. Confrontando i risultati emerge un significativo incremento – dal 28,5 per cento del 2002 al 63,4 per cento del 2018 – di cittadini che ha dichiarato di aver fatto scelte di consumo responsabile. In particolare, le persone che hanno adottato scelte di consumo critico – ovvero che hanno comperato beni e servizi da imprese che dichiarano di rispettare il divieto di sfruttare il lavoro minorile, che contengono al minimo l’inquinamento e che devolvono una parte del loro profitto affini di beneficienza – sono il 30,3 per cento rispetto all’11,3 per cento del 2002. Chi ha acquistato, anche se sporadicamente, generi del commercio equo e solidale è il 37,3 per cento rispetto al 16,3 per cento del 2002. Invece, il 51,7 per cento, il quadruplo rispetto al dato del 2002, ha dettato le proprie scelte di consumo a uno stile di sobrietà e ha acquistato beni e servizi facendo attenzione al consumo energetico e alla quantità di rifiuti prodotti. Solo il 7,5 per cento degli intervistati ha affermato di aver preferito viaggi di turismo responsabile, un turismo che limita viaggi nei paesi non democratici, entra in contatto con gli usi e i costumi dei paesi, fa conoscere l’attività dell’economia solidale locale. Infine, il 10,6 per cento del totale degli intervistati ha comprato prodotti tramite i gruppi di acquisto solidale.
Anche per quanto riguarda il profilo del consumatore critico si notano cambiamenti. Nel 2002, infatti, le persone che avevano fatto una scelta di consumo responsabile erano in maggioranza di genere femminile e erano principalmente giovani tra i 28 e i 35 anni. Oggi, invece, si è ridotto il divario tra uomini e donne e l’età media dei consumatori responsabili si è alzata, attestandosi tra i 55 e i 64 anni. Inoltre, se nel 2002 il 52,6 per cento di loro aveva un elevato titolo di studio, il 27,4 per cento un titolo fino alla scuola superiore e solo l’11 per cento un titolo pari alla scuola dell’obbligo, negli anni questa differenza si è ridotta, dal momento che il consumo responsabile sta iniziando a coinvolgere anche i meno istruiti. Diversamente da quanto accadeva nel 2002, però, oggi spicca la percentuale di studenti: sono ben l’82,9 per cento. Inoltre, diminuiscono le differenze tra aree geografi che, nonostante al sud si continuino a registrare dati più bassi. Se, però, nel 2002 il consumo critico era un fenomeno strettamente urbano, oggi i dati evidenziano la scomparsa della differenza tra grandi e piccole città. Il consumo responsabile, quindi, non solo sembra aver diminuito la sua caratterizzazione elitaria, ma, secondo i nostri dati, non ha più solo una dimensione metropolitana. L’aspetto che, forse, colpisce di più riguarda la componente di impegno politico del consumatore critico: nel 2002, infatti, era maggiore la percentuale di coloro che individuavano il consumo critico come uno strumento per intervenire sulle ingiustizie sociali; oggi, invece, cresce la percentuale degli intervistati che ha risposto di aver optato per pratiche di consumo responsabile perché interessato alla migliore qualità dei prodotti.
Movimenti dal basso e dall’alto
Occorre tenere a mente che negli ultimi anni sono aumentati i soggetti che invitano i cittadini a far uso del loro “potere della busta della spesa” con il fine di influenzare le regole del mercato e della politica. Il boicottaggio così come il buycottaggio mirano infatti a influenzare il comportamento di aziende produttrici invitando i cittadini a favorire l’acquisto di certi prodotti sulla base di scelte che tengano in considerazione le politiche delle imprese in materia di tutela dell’ambiente, dei diritti umani e di equità e giustizia. Inoltre, il dato relativo alla crescita della percentuale di chi dichiara di aver adottato nelle proprie scelte quotidiane principi di sobrietà sembra mostrare un atteggiamento più consapevole da parte del consumatore. Aumento collegabile, almeno in parte, alla crisi economica che potrebbe aver spinto a una maggiore presa di coscienza di che cosa si sta per acquistare.
Senza dubbio, questo aspetto potrebbe rappresentare un’opportunità a patto che si lavori per incrementare l’informazione, l’educazione e la produzione sostenibile. Soprattutto nei piccoli centri, dove il consumo responsabile è in crescita e dove sarebbe importante rilanciare l’economia locale, potrebbe essere efficace adottare politiche di sostegno alle modalità di acquisto sostenibile, come i mercati a chilometro zero, l’abbattimento della tassa per occupazione di suolo pubblico o lo sviluppo di comunità che possano facilitare l’acquisto e la vendita di prodotti che rispettano l’ambiente e il lavoro. La consapevolezza e l’azione individuale, infatti, non sono sufficienti: sono necessarie anche quelle delle istituzioni.