In Italia, l’aumento della spesa farmaceutica derivante dall’arrivo di nuovi farmaci via via più costosi non ha impedito l’accesso dei pazienti all’assistenza farmaceutica. Abbiamo per ora sperimentato una forma di parziale razionamento nel caso dei farmaci per il trattamento dei pazienti con epatite C. Tuttavia in futuro, a fronte di una spesa non sostenibile per il Servizio sanitario nazionale (Ssn), i problemi di accesso potrebbero presentarsi in maniera ben più grave.
Dobbiamo quindi occuparci di trovare soluzioni, nella consapevolezza che non esiste “l’intervento” risolutivo, ma che serve una strategia di interventi coerenti attenta ai diversi punti di vista, e prima di tutto a quello dei pazienti. Di seguito, fra i possibili interventi, vorrei concentrarmi sulla valutazione del valore relativo, che forse più di altri è oggetto di vere controversie e che più di altri avrà un ruolo chiave nella discussione sul disegno di sistemi che garantiscano la sostenibilità della spesa farmaceutica.
Valori a confronto
Solo un sistema che effettua la valutazione comparativa come prassi abituale permette di pagare un nuovo farmaco per il suo valore terapeutico e per la sua novità. Si può cioè applicare il principio secondo il quale farmaci dotati di un valore terapeutico sovrapponibile devono avere prezzi simili di rimborso a carico del Ssn, mentre un prezzo superiore rispetto alle alternative può essere riconosciuto solo in presenza di un valore aggiunto.
Il caso limite di farmaci con lo stesso valore terapeutico si realizza alla scadenza brevettuale, con l’ingresso nel mercato dei farmaci generici (per le piccole molecole di origine chimica) e dei biosimilari (per i farmaci di origine biologica). Una volta dimostrato che non ci sono differenze per il paziente, e cioè che generici/biosimilari sono equivalenti al prodotto originatore, il prezzo più conveniente dovrebbe diventare l’elemento di scelta. La scadenza brevettuale, tuttavia, è una condizione necessaria, ma non sufficiente per la riduzione dei prezzi. A tale fine, serve attivare la competizione fra le aziende farmaceutiche: a livello territoriale, attraverso il meccanismo del prezzo di riferimento, mentre per gli acquisti effettuati dalle strutture pubbliche, mediante le gare di acquisto a livello di ospedale e di regione.
L’adozione di meccanismi competitivi per ridurre i prezzi è largamente praticata nei paesi del Nordeuropa, i quali presentano un reddito pro capite ben più elevato di quello italiano. Ad esempio, in Norvegia e in Danimarca sono state effettuate gare di acquisto a livello nazionale per scegliere, nel caso di farmaci biologici a brevetto scaduto, quale dei diversi prodotti disponibili sul mercato dovesse essere utilizzato negli ospedali a carico del Ssn.
Agire subito su ciò che è immediatamente fattibile, per liberare risorse finanziarie e mentali per gestire i casi più complicati.
Forse, se c’è qualcosa di peculiare nei paesi del Nordeuropa, almeno in confronto con la discussione che spesso si verifica in Italia, è che anche le associazioni professionali mediche e le associazioni di pazienti hanno sostenuto le scelte. La ragione è che tali associazioni si sono fidate dei meccanismi di valutazione presenti a livello europeo per l’accertamento dell’equivalenza fra i diversi prodotti, e dei pareri delle commissioni tecniche nazionali che garantiscono che le singole scelte siano guidate dall’interesse dei cittadini. Inoltre, tutti gli “attori” coinvolti sono convinti che le risorse risparmiate possono servire per potenziare altri servizi sanitari, oppure per ridurre le imposte pagate dai cittadini.
Ci sono poi anche situazioni nelle quali, per una stessa indicazione terapeutica, sono disponibili farmaci diversi che sono però equivalenti da un punto di vista terapeutico: si pensi al caso dei fattori di crescita granulocitaria, delle epoetine o degli ormoni della crescita. Di nuovo, anche in questi casi è del tutto ragionevole che commissioni tecniche indipendenti arrivino ad attestare l’equivalenza delle diverse opzioni e che si possa procedere – in quanto indifferente per la salute dei pazienti – a gare di acquisto come nel caso dei farmaci a brevetto scaduto.
Dalle negoziazioni alle scelte
Anche quando le informazioni sono più “deboli”, e non si è in grado di discriminare il valore relativo delle diverse opzioni terapeutiche, è fondamentale il ruolo delle commissioni tecniche. Se la revisione delle evidenze scientifiche disponibili, per esempio attraverso confronti indiretti, consente di identificare aree terapeutiche nelle quali i diversi farmaci presentano un profilo beneficio-rischio in buona misura sovrapponibile, si favoriscono comunque forme di competizione. In Italia, ad esempio, si rafforzerebbe innanzitutto il potere contrattuale dell’Agenzia italiana del farmaco nelle negoziazioni per la definizione dei prezzi di rimborso. Non è infatti per la bontà dei produttori se siamo arrivati a prezzi di acquisto dei farmaci per il trattamento dell’epatite C che sono meno di un decimo rispetto ai prezzi inizialmente proposti al momento della commercializzazione del sofosbuvir negli Stati Uniti. Semplicemente, si sono resi disponibili diversi farmaci, dal valore terapeutico sovrapponibile, per il trattamento dei diversi genotipi della malattia. In questo senso, fra l’altro, potrebbe essere recuperato un valore anche per i farmaci me-too, i quali non forniscono un valore aggiunto rispetto alle alternative terapeutiche, ma possono favorire la competizione nel periodo di copertura brevettuale.
Nel caso di farmaci con un profilo beneficio-rischio sovrapponibile, oltre alla negoziazione del prezzo a livello nazionale e alle gare a livello locale, c’è poi lo spazio per raccomandazioni terapeutiche nelle quali, quando l’interesse del paziente è ugualmente salvaguardato dalle diverse opzioni, si tenga conto del prezzo. È anche questo un modo per promuovere meccanismi competitivi e contenere la spesa farmaceutica.
Nel nostro paese è stato sostenuto, da parte di associazioni delle aziende farmaceutiche e di associazioni professionali mediche, che, data la difficoltà di attestare la sovrapponibilità terapeutica di farmaci diversi, la decisione debba essere demandata al medico, il quale non dovrebbe essere influenzato nella scelta da considerazioni relative ai prezzi.
Si tratta, a ben vedere, di un’obiezione poco comprensibile. Se gruppi di esperti inclusi nelle commissioni tecnico-scientifiche nazionali o internazionali, sulla base dell’analisi delle migliori evidenze scientifiche disponibili, sono in grado di assicurare l’equivalenza terapeutica fra diversi farmaci, o anche solo l’impossibilità di differenziare il profilo beneficio-rischio di un farmaco rispetto alle alternative presenti, non è plausibile che il singolo medico disponga di dati aggiuntivi che consentano di guidare le scelte. In queste condizioni è del tutto compatibile il perseguimento dell’interesse del paziente con l’obiettivo di contenere la spesa.
In presenza di competizione i prezzi diventano (più) sostenibili.
Liberare risorse
Si può anche sostenere che i casi illustrati – l’equivalenza di prodotti diversi (come nel caso dei generici e dei biosimilari) oppure l’identificazione di categorie terapeutiche clinicamente sovrapponibili – siano relativamente semplici, mentre le vere sfide alla sostenibilità derivino dai farmaci fortemente innovativi.
Si tratta di un richiamo ragionevole, ma che richiede due postille. La prima, come si è visto nel caso sofosbuvir, è quella di considerare che il principale stimolo dei prezzi elevati è la condizione di monopolio, mentre in presenza di competizione i prezzi diventano (più) sostenibili. La seconda, per parafrasare un vecchio detto inglese – “Take care of the pennies and the pounds will take care of themselves” – ci ricorda di agire subito su ciò che è immediatamente fattibile, in modo da liberare risorse finanziarie e mentali per gestire i casi più complicati.