Quale ruolo dovrebbero avere le agenzie sovranazionali nella determinazione delle priorità per la salute?
Quale agenzia tecnica specializzata delle Nazioni Unite nel campo della salute, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha il ruolo specifico di definire le priorità di salute pubblica a livello globale, secondo criteri di salute pubblica, etici ed economici mentre spetta ai singoli paesi definire come realizzarle. Nella costituzione dell’Oms del 1948 si parla del “raggiungimento del più elevato standard di salute” come “uno dei fondamentali diritti di ciascun individuo senza distinzione di razza, religione, convinzioni politiche, condizione economica o sociale”: chiaramente contro doppi standard tra paesi ad alto o basso reddito. In che modo ciò si possa – anzi si debba – raggiungere è compito delle scelte politiche e tecniche. Nell’ambito degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, tutti i paesi si sono impegnati a raggiungere entro il 2030 sistemi di copertura universale che in Italia già esistono e sono rappresentati dal Servizio sanitario nazionale. Per copertura sanitaria universale (“universal” significa, consentitemi di precisarlo con chiarezza, “per tutti”) si intende definire pacchetti di interventi sanitari prioritari cui dare accesso a tutti i cittadini. In quest’ottica, una delle scelte politiche dell’Oms è proprio quella di incrementare gli investimenti in sanità con la raccomandazione, in particolare rivolta ai paesi a basso reddito, di impiegare almeno il 15 per cento della propria spesa pubblica e spesa sanitaria (i paesi europei investono circa il 17-18 per cento). Come si sottolinea nell’Agenda 2030, la spesa sanitaria non deve essere vista come un costo ma come un investimento per l’intera società. Come evidenziato nel rapporto Health at a glance: Europe 2018 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nei paesi ad alto reddito la spesa sanitaria è abbastanza variabile; l’Italia si pone su livelli di spesa sanitaria pubblica pro capite al di sotto della media Ocse e potrebbe quindi beneficiare di un aumento della spesa sanitaria come avvenuto per l’Inghilterra negli ultimi anni.
La spesa sanitaria non deve essere vista come un costo ma come un investimento per l’intera società e per l’economia del paese.
Oltre alle scelte politiche citava le scelte tecniche…
Sì e anche queste sono finalizzate a investire in salute. Tra le scelte tecniche dell’Oms rientrano i documenti – raccomandazioni, linee-guida, liste – finalizzati a indirizzare i paesi al raggiungimento degli gli obiettivi prioritari di salute. Forse il più noto è la lista dei farmaci essenziali che indica ai 194 governi di tutti i paesi del mondo i farmaci che andrebbero garantiti a tutti i pazienti. Sono i farmaci più importanti che vengono selezionati sulla base delle migliori evidenze scientifiche in termini innanzitutto di benefici e di vite salvate per le malattie più gravi o più frequenti. La lista “modello” dei farmaci essenziali rappresenta quindi un ambito di investimento prioritario per i governi e i sistemi sanitari: su di essi dovrebbero concentrarsi gli sforzi, su come renderli accessibili a tutti coloro che ne hanno bisogno senza aggravi economici o impegni finanziari maggiori.
I farmaci essenziali rappresentano l’ambito di investimento principale per i governi e i sistemi sanitari.
Cosa pesa di più nella determinazione delle priorità: il fattore economico o il beneficio clinico?
Per la lista dei farmaci essenziali non vi è dubbio che il ruolo guida viene svolto dalla efficacia dimostrata: in altre parole, si pone un distinguo tra trattamenti altamente o molto efficaci (highly effective) e farmaci poco efficaci (poorly or marginally effective). La posizione dell’Oms è di privilegiare la definizione dei farmaci essenziali o prioritari e renderli disponibili sotto copertura universale (universal health coverage), ovvero completamente gratuiti. Tornando ai principi, e per spiegare perché l’efficacia è il criterio guida, vi sono due estremi opposti sui quali non occorre fare analisi economiche o applicare modelli costo-efficacia per giungere a standard etici condivisi. A un estremo vi sono nuovi medicinali altamente efficaci per l’epatite C, per l’hiv, per il complesso controllo della tubercolosi e della malaria, alcuni dei farmaci per il cancro e le leucemie nonché la maggior parte dei vaccini: questi sono essenziali e migliori dei farmaci precedentemente disponibili e anche – come dire? – eticamente non discutibili. All’estremo opposto vi sono farmaci che mostrano benefici marginali, incerti, poco soddisfacenti e quindi il loro ruolo terapeutico non è essenziale, come per esempio i farmaci per la demenza o per la memoria o alcuni dei medicinali per il dolore neuropatico (anche molto venduti): questi non rappresentano una priorità né per i pazienti né per i sistemi sanitari. A queste due categorie opposte, gli essenziali e i probabilmente inutili o dannosi, ha poco senso dedicare complesse e spesso arbitrarie modellistiche economiche. Mentre posso pensare che a livello nazionale, ove si fissa il prezzo dei farmaci che forniscono modesti benefici o una migliore tollerabilità rispetto ai precedenti, può avere senso utilizzare anche la dimensione economica per discutere di quanto vale il piccolo beneficio aggiuntivo.
Chi deve farsi carico di modalità e tempi con cui rendere disponibile la lista di farmaci essenziali?
A livello globale e per il ruolo dell’Oms credo che abbia senso che la lista dei farmaci essenziali elaborata possa rivendicare lo status di “lista modello” o verso cui tendere. Offrendo ai paesi e ai governi uno strumento o un metro di riferimento, la lista dell’Oms può essere assunta come un obiettivo da perseguire nel medio termine, cioè nei prossimi cinque/dieci anni, un tempo ragionevole e gestibile. Nel breve termine (sei mesi) un governo può fare ben poco e oltre i dieci anni viene meno la capacità di rappresentazione e di comprensione dei termini di riferimento. La lista modello dei farmaci essenziali indica pertanto un processo trasparente e un obiettivo verso cui tendere a livello di governance globale. Inoltre, essendo aggiornata ogni due anni, invia un messaggio di riflessione sui tempi dei progressi terapeutici e della importanza di far sedimentare le evidenze scientifiche per non lasciare domande inevase.
Kalipso Chalkidou mette in discussione l’affidabilità di uno sguardo sovranazionale sul priority setting, che dovrebbe avere un impatto prevalentemente “locale”…
Concordo con Chalkidou – con la quale collaboriamo in alcuni programmi per i paesi a basso reddito – che le analisi economiche di costo-efficacia debbano essere svolte a livello di singolo paese e non a livello globale. Ma comunque ha senso anche un priority settig globale con uno strumento come la lista dei farmaci essenziali. Le ragioni del grande successo di questa lista sta proprio nell’avere fissato delle priorità terapeutiche ed etiche a livello globale (comuni a tutti i paesi) a partire dalle quali poter sviluppare nuove politiche di accesso ai farmaci e standard comuni e sostenibili per tutti. Per esempio l’aver ribadito che i nuovi farmaci per l’epatite C devono rappresentare uno standard terapeutico in tutti paesi, anche in un’ottica di eradicazione della malattia a livello planetario, ha contribuito a produrre una netta e rapida riduzione del prezzo di questi farmaci. Inoltre, negli ultimi anni abbiamo potuto vedere la debolezza intrinseca delle analisi di costo-efficacia (Icer) e di costo-utilità (Qaly) per farmaci che seppure definiti cost-effective (secondo i modelli) hanno un impatto economico non sostenibile anche nei paesi ad alto reddito. Quindi diciamo che l’Oms difende fortemente il ruolo della lista dei farmaci essenziali come strumento globale.
Finché c’è una lista dei farmaci essenziali c’è un futuro per i sistemi sanitari pubblici e per la copertura sanitaria universale.
La lista dei medicinali essenziali è quindi uno strumento di definizione delle priorità?
Sicuramente sì, e di grande successo fin dal 1977 quando apparve nel panorama internazionale grazie anche – lasciatemelo ricordare – a Silvio Garattini e Gianni Tognoni, entrambi membri del primo comitato per i farmaci essenziali, che portarono il contributo fondamentale dell’esperienza dei prontuari terapeutici ospedalieri italiani. È importante ribadire in tutti i modi possibili, inclusa questa breve intervista, che la lista dei farmaci essenziali dell’Oms non è una lista di base e non riguarda solo i paesi poveri e solo i medicinali a brevetto scaduto. La sua funzione è di definire una serie di obiettivi prioritari da raggiungere tracciando una direzione verso cui andare nell’ambito dei programmi di copertura universale. Sono concetti legati alla parte migliore della medicina basata sulle prove e della evoluzione degli studi clinici comparativi, al concetto di come usare nel modo migliore le evidenze disponibili per meglio comprendere sia il valore reale dei farmaci sia i limiti di molta ricerca. Come diceva Doug Altman, abbiamo bisogno di “meno ricerca, migliore ricerca e ricerca fatta per i giusti obiettivi” e, come ci ricordava il comune amico Alessandro Liberati, dobbiamo stare attenti allo spreco e alle sofferenze provocate dai bias creati dal mancato reporting dei dati degli studi disponibili. Quarant’anni fa nasceva il Servizio sanitario nazionale italiano a distanza di trent’anni dal National health service britannico. Concludo augurando lunga vita al nostro servizio sanitario e alla lista dei farmaci essenziali dell’Oms: finché c’è una lista dei farmaci essenziali c’è un futuro per i sistemi sanitari pubblici e per la copertura sanitaria universale.