Ebook, self publishing, crisi del copyright, Amazon, crisi della lettura. L’editoria libraria nel giro di un paio di decenni è stata investita da una serie di trasformazioni e congiunture potenzialmente sfavorevoli che non ha precedenti. Agli editori è stato chiesto un ripensamento profondo sul senso del proprio ruolo, sugli strumenti del mestiere, sulle reali prospettive di sopravvivenza della funzione editoriale, che esiste come la conosciamo oggi da almeno un paio di secoli. Stretta tra le ambizioni editoriali di Jeff Bezos e i sogni di gloria di eserciti di scrittori finalmente armati della possibilità di pubblicarsi in proprio, rassegnata alla lenta ma inesorabile emorragia di lettori, l’editoria libraria fatica a ritrovarsi nel suo tradizionale ruolo di mediazione, tra chi scrive e chi legge innanzitutto, ma anche tra le sue due nature eternamente in conflitto, quella commerciale e quella culturale.
I numeri recenti del mercato del libro non sono poi così da buttare. L’Istat certifica che il 2017 conferma l’uscita dal periodo recessivo (+2,8 per cento di fatturato). Ma il ritmo con cui il mercato ha ricominciato a crescere è troppo lento per consentire un ritorno rapido ai valori pre-crisi. E poi restano i nodi mai risolti dell’editoria libraria italiana: dimensioni ridotte del giro d’affari (e dal 2010 il fatturato è sceso di 181 milioni di euro), un numero esorbitante di case editrici (4902, +0,5 per cento rispetto al 2016) a fronte di un bacino di lettori più piccolo rispetto agli altri grandi paesi europei. I libri da una parte rappresentano un consumo culturale fuori portata (i dati Ocse-Pisa sulle competenze di comprensione dei testi sono sconfortanti), dall’altra non sono più considerati uno strumento per emergere e un segno di status (tra i ceti dirigenti e professionali il 38,1 per cento non legge nemmeno un libro). In un contesto così critico, le priorità e le scelte del lavoro editoriale, sedimentate da secoli di “noi facciamo così”, sono sottoposte a robusti stress test potenzialmente in grado di ridefinirne portata e gerarchie. Dopo aver individuato una serie di binomi tra i quali si articolano alcune scelte fondamentali degli editori, per chiarirci le idee abbiamo parlato con Daniele Di Gennaro, proprietario di minimum fax, una casa editrice modello per come ha valorizzato negli anni il suo marchio puntando anche ad altri settori, e Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci che organizza ogni anno l’ammiraglia degli eventi letterari italiani, il Premio Strega.
Libro di carta e libro digitale
L’ebook, accolto inizialmente con un singolare mix di entusiasmo e ostilità, sembra aver superato la parabola ascendente. Al natural born killer del libro cartaceo resta un posto di riguardo nel menu ibrido di lettura offerto oggi dal mercato, ma di superare il glorioso antenato non se ne parla.
Di Gennaro. “È un fatto che le nuove tecnologie storicamente si siano sempre affiancate a quelle precedenti. L’ebook rende possibile la fruizione di qualsiasi testo in qualsiasi angolo del mondo in cui ci sia una connessione internet. Il massimo per la diffusione e l’accessibilità, come succede per il commercio elettronico. Poi, certo, è fisiologico che non eguagli la forza dell’unità psicoaffettiva dell’oggetto libro cartaceo, che ti dà l’idea di avere nelle mani l’esperienza, la vita, le idee di qualcun altro sicuramente in misura maggiore rispetto all’ ‘immateriale’ immerso nel buio degli hard disk. I due vettori si integrano, possono darsi forza. Molti ancora comprano ‘l’accoppiata’, portano avanti la lettura su reader elettronico in viaggio e la continuano a casa sul cartaceo.”
Petrocchi. “È un tema cruciale. Il trasferimento del libro nel mondo digitale è appena cominciato. Se qualche cosa farà sì che il libro entri compiutamente in questo mondo nuovo, non sarà l’ebook come lo conosciamo oggi, che è semplicemente una replica del libro cartaceo. Di fatto, un dispositivo in grado di promuovere questa trasformazione non è stato ancora ideato (i tentativi di libro “aumentato” sono ancora timidi e insoddisfacenti). Credo che per vedere il compimento di questo fenomeno dovremo aspettare che i nativi digitali prendano in mano le redini dell’editoria. Più in generale, penso che il mondo del libro cartaceo abbia provato a difendersi dall’avvento del digitale piuttosto che sentirlo come un’opportunità. Dal non averla colta derivano una serie di problemi che alla lunga rischiano di relegare la lettura di un libro a un’attività residuale. Il libro cartaceo non sparirà del tutto, fra l’altro per tutte quelle caratteristiche ergonomiche su cui si soffermava Umberto Eco, ma rischia di essere letto da un numero sempre più piccolo di persone.”
Il catalogo e le novità
Un altro binomio fondamentale. Il giusto mix è un’alchimia che ogni editore vorrebbe individuare. Ma cosa sta accadendo oggi? Cosa è prioritario?
Petrocchi. “Dal punto di vista dell’editoria letteraria, noto una grande difficoltà per gli autori di catalogo. L’editoria sembra spinta piuttosto verso la valorizzazione delle novità. L’esperienza insegna che anche gli autori che hanno ottenuto successo con un libro, con i seguenti faticano, a meno di casi sporadici, ad ottenere la stessa attenzione, dalla casa editrice prima e da recensori, librai e lettori, dopo.
Di Gennaro. “È prioritario far sì che i libri si guadagnino una vita duratura. Oggi il catalogo è il dna indentitario di un editore e la parte consolidata del venduto che fa da base all’alea dell’esito delle novità. Una nuova proposta editoriale che diventa long seller, genera un rapporto fiduciario fra il mondo dei librai e dei lettori e il marchio editoriale.”
Linea editoriale e gusto dei lettori
Il lavoro editoriale è anche (soprattutto?) un’operazione culturale, e la linea editoriale, oltre ad aiutare la riconoscibilità della casa editrice, serve a rendere compiuta quell’operazione. Il gusto dei lettori va intercettato ma anche plasmato, pubblicando nel tempo libri in grado di orientarlo, sollecitarlo e sfidarlo. Da una parte il rischio di inseguire i lettori senza mai trovarli, dall’altra il rischio della nicchia di aficionados in cui rintanarsi…
Petrocchi. “Bisogna avere chiaro che cosa si vuole essere. Ci sono editori – tipico è il caso di Adelphi – che costruiscono la casa editrice come un unico grande libro i cui capitoli sono i titoli via via pubblicati. Il mantenimento della linea editoriale prevale qui su qualunque altra decisione strategica. Al contrario gli editori generalisti andranno alla ricerca di lettori di vario genere destinando a ciascuno il proprio libro. Se sei un editore di dimensioni non grandissime con una linea editoriale precisa e ben riconoscibile in libreria, è rischioso andare in cerca di nuovi lettori. Conviene continuare a fare bene quello che stai facendo, provando eventualmente a far entrare cose più eterogenee con gradualità.”
Di Gennaro. “Il sentimento sociale, quello che Raffaele La Capria definiva ‘senso comune’, è il motore emotivo che genera la trasformazione dei linguaggi. Il movimento liberatorio consiste nel non ereditare un canone passivamente, ma nel forzare una lingua e generarne un’altra. Questo movimento innovativo è rintracciabile in tutti i movimenti artistici. I lettori vivono lo stesso senso liberatorio che ha vissuto lo scrittore, lo seguono, riconoscono in quella direzione un allargamento dell’ambito di interesse, lo sentono necessario. Il valore aggiunto della proposta editoriale sta proprio in questo sguardo verso la materia liquida del movente emotivo alla base delle narrazioni. Riprodurre una proposta nella direzione di bisogni culturali già espressi e consolidati significa essere espulsi dal proprio tempo, dalla sfera della contemporaneità.”
Amazon e librerie indipendenti
Anche questo è un tema caldo e le priorità degli editori si scontrano a volte con quelle degli altri attori della nuova filiera libraria. Quanto si può scegliere quale canale di vendita privilegiare? A cosa dare priorità?
Di Gennaro. “Sono diversi i mondi che reagiscono con l’acquisto alla proposta editoriale: quello online è soprattutto un acquisto d’impulso, spesso fatto col telefonino, magari dopo una recensione televisiva, web o radiofonica. Quelli nelle librerie indipendenti sono frutto di un preziosissimo lavoro ambientale da parte del libraio, una selezione che è percepita come un servizio di scrematura da parte dei lettori fidelizzati. Le grandi catene sono i luoghi ai quali si rivolgono lettori anche non forti, sono spazi dove si presume di trovare più scelta, reperibilità o assortimento di tutti i cataloghi.
Gli editori indipendenti come minimum fax alimentano promozione e dialogo con tutti questi fronti. Quello con i librai indipendenti che vivono costantemente lo spazio e hanno la responsabilità della proposta è più facile e frequente. Sono librai che non subiscono ordini centralizzati dai buyer di catena. Per bookstore di catena ed elettronici la promozione non avviene con un contatto diretto, ma attraverso la catena promozionale.
Prioritario è alimentare un’efficiente comunicazione dei contenuti e una forte preparazione dell’attesa prima delle uscite. L’esito di questa proposta è nei numeri, dei quali noi editori siamo maggiormente responsabili. Se un libro non incontra l’interesse dei lettori, è principalmente frutto delle nostre scelte.”
Alla sequenza proposta Petrocchi suggerisce di inserire alla fine un ultimo binomio su cui, a suo parere, si gioca molto del futuro del libro. Coccolare i lettori forti, allargare la base della lettura
Petrocchi. “Posto che quasi tutte le alternative qui discusse si presentano come obiettivi da perseguire simultaneamente (il catalogo e le novità, la diffusione del libro cartaceo e quella del libro elettronico), allargare la base della lettura mi sembra davvero una priorità assoluta. Possiamo immaginare che lo zoccolo duro dei lettori sarà in futuro numericamente sempre meno consistente, sia perché una parte viene naturalmente erosa dai limiti di età sia perché anche i lettori forti si muovono in un contesto in cui il tempo dedicato alla lettura di un libro entra in concorrenza con la fruizione di dispositivi ugualmente capaci di fornire intrattenimento, informazione, piacere estetico. Bisogna creare nuovi lettori, cominciando fin dalla scuola a promuovere presso i ragazzi quell’esperienza emotiva di lunga durata costituita dall’immersione in una storia e dall’attraversamento intellettualmente avventuroso di un saggio. Ne va della sopravvivenza del libro.”
Come dargli torto?
Covering Lolita
Non giudicare un libro dalla copertina? Beh, sì, in teoria siamo tutti d’accordo, ma la verità è che non se ne può fare a meno e gli editori lo sanno bene. Dello scandaloso capolavoro di Vladimir Nabokov, Lolita (1955), sono state pubblicate centinaia di edizioni in tutto il mondo, un campionario di ciò che conta per gli editori quando in ballo c’è la “custodia” del libro.
Negli esempi qui riportati si passa da copertine quasi totalmente grafiche che fanno risaltare il titolo, a copertine illustrate in cui il titolo può rimpicciolirsi fino a scomparire, lasciando il posto all’immagine riassuntiva di due gambe adolescenti in un paio di scarpe da donna, per arrivare a fotografie, a volte a pagina intera, che attraversano tutto lo spettro della scabrosità, sfruttando la locandina iconica del film di Stanley Kubrick oppure “nascondendo” il titolo nel ritratto di Nabokov, colto in una posa vagamente allusiva.
- 1955, FR Olympia Press, Paris
- 1958, US Putnam, New York
- 1959, IT Mondadori, Milano
- 1964, BRD Rowohlt TB (rororo), Reinbek
- 1965, SV Aldus-Bonnier (Delfi nbok), Stockholm
- 1980, GB Penguin, London
- 1991, Panstwowy Instytut Wydawniczy, Warsaw
- 1992, US Knopf (Everyman’s Library), New York
- 2001, FRb Gallimard (Du monde entier), Paris
- 2005a, JAP Shinchosha, Tokyo
- 2005, US Random House (Vintage), New York
- 2011, GB Penguin (Essentials), London
- 2011, Slovart, Bratislava
- 2011, TW Suncolor, Taipei