L’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ha recentemente approvato il rapporto Global warming of 1.5°C che sottolinea l’importanza di contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi Celsius rispetto al periodo preindustriale [1]. Redatto da 91 esperti provenienti da 44 paesi, citando oltre 9000 ricerche, ha rappresentato la base scientifica della ventiquattresima conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite che si è tenuta in Polonia per riesaminare il trattato di Parigi e definire le misure attuative. Il rapporto affronta la tematica nel contesto della promozione a livello globale di politiche per contrastare il riscaldamento, contenere i danni e migliorare l’adattamento attraverso uno sviluppo sostenibile: una priorità della nostra epoca. Le evidenze sono oramai consolidate e, nonostante gli scettici o i negazionisti, occorre introdurre misure e azioni importanti per ridurre l’impatto
Quali evidenze e cosa succederà?
Uno degli aspetti chiave che emerge dal documento dell’Ipcc è che stiamo già vedendo le conseguenze di un riscaldamento globale di un solo grado Celsius: aumento di eventi meteorologici estremi, innalzamento del livello del mare e diminuzione del ghiaccio marino. Quest’ultimo è uno dei fondamentali driver del sistema meteo-climatico e delle circolazioni oceaniche. Già a partire dagli anni ottanta, attraverso l’uso dei dati satellitari della Nasa si è osservata una forte riduzione dell’estensione del ghiaccio marino artico a un ritmo di circa 54.000 chilometri quadrati l’anno. Questo cambiamento abbinato al prolungamento della stagione “ice free” nei mesi estivi favorisce il trasporto di merci attraverso la rotta del mare del Nord, con una riduzione dei tempi di circa due settimane rispetto alla rotta attraverso il canale di Suez. Lo scorso settembre, quando si è registrato un minimo storico del ghiaccio marino artico, una compagnia leader mondiale nel trasporto via mare ha sperimentato con una nave portacontainer l’itinerario dalla Cina al Nordeuropa attraverso l’Artico. Nonostante i vantaggi economici e commerciali è indispensabile pensare ai danni ambientali legati all’apertura di questa rotta, come l’inquinamento delle acque, l’impatto sugli ecosistemi, le emissioni di particolato ed eventuali rischi legati a collisioni e fuoriuscite di materiali tossici. A tale proposito è auspicabile che l’Organizzazione marittima internazionale estenda anche alle regioni artiche le norme antinquinamento caratterizzate dal divieto di uso e trasporto di oli combustibili pesanti introdotte nel 2011 in Antartide.
L’innalzamento delle temperature e le ondate di calore di quest’estate hanno lasciato il segno in diverse aree del pianeta. Nell’Europa nordoccidentale, oltre alle temperature estreme, hanno portato siccità e una crisi idrica in diversi paesi (Germania, Svezia, Irlanda, Gran Bretagna). In California, si sono verificati i peggiori incendi nella storia dello stato: gli oltre 7900 incendi hanno devastato circa 700.000 ettari di terreno, con un danno economico di oltre 2,9 bilioni di dollari e hanno perso la vita 88 persone. Le conseguenze degli eventi estremi sulla salute sono state ampiamente documentate in letteratura e, considerando la maggior frequenza degli ultimi anni e quella prevista per il futuro, possiamo solo aspettarci un maggior impatto sulla salute delle popolazioni interessate da questi fenomeni.
Il documento dell’Ipcc evidenzia inoltre in maniera molto esaustiva come limitando il riscaldamento globale a 1,5 anziché 2 o più gradi Celsius l’impatto su scala globale sarà minore e che anche una piccola quantità di riscaldamento in più aumenta il rischio associato a cambiamenti di lunga durata o irreversibili e impatti su tutti gli ecosistemi.
Cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile
La sfida più grande che ci si pone davanti è il dover implementare tutte le misure di contenimento e mitigazione in modo simultaneo e coordinato. Sono richieste transizioni in molti settori quali energia, industria, edilizia, trasporti, uso del suolo e pianificazione urbana. Le emissioni di CO2 nette globali prodotte dall’attività umana dovrebbero diminuire di circa il 45 per cento rispetto i livelli del 2010 entro il 2030, raggiungendo lo zero intorno al 2050. Questo vuol dire che ogni emissione rimanente dovrebbe essere bilanciata dalla rimozione di CO2 dall’atmosfera.
Anche il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile considera prioritarie le azioni, a tutti i livelli, per combattere i cambiamenti climatici. Gli obiettivi del programma mirano a eliminare la povertà, a garantire la salute, l’energia e la sicurezza alimentare, a ridurre le ineguaglianze, proteggendo gli ecosistemi, e a realizzare città ed economie sostenibili. Il documento delle Nazioni Unite sottolinea come la capacità di raggiungere i diversi obiettivi e diventare sostenibili è influenzata dai cambiamenti climatici in atto e futuri e pertanto vanno contrastati con un impegno globale e condiviso [2]. Gli scenari per limitare l’innalzamento della temperatura a 1,5 gradi Celsius, sostenuti dall’Ipcc, comprensivi di misure di adattamento e mitigazione, favoriranno la riduzione delle emissioni, contrasteranno gli impatti e allo stesso tempo permetteranno di raggiungere alcuni degli obiettivi delle Nazioni Unite per una società più sostenibile ed equa.
I percorsi di sviluppo resilienti ai cambiamenti climatici (climate-resilient development pathways) mirano infatti ad adottare misure che limitano il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius, mentre si adottano azioni di adattamento e allo stesso tempo si raggiunge uno sviluppo sostenibile. Tali percorsi richiedono un massiccio impulso in termini di mitigazione nel breve e nel medio termine per prevenire le conseguenze di un ulteriore riscaldamento, e allo stesso tempo, per ridurre la dipendenza dalle tecnologie per la rimozione del monossido di carbonio.
Gli impatti economici dei cambiamenti climatici erano già stati ampiamente illustrati più di dieci anni fa da Sir Nicholas Stern con la sua Review on the economics of climate change. La sua analisi sosteneva che era possibile arginare i rischi e i danni investendo in misure di medio e lungo periodo per contrastare i cambiamenti climatici. La review mostrava come i costi per fronteggiare i cambiamenti climatici erano di circa l’1 per cento del pil mondiale rispetto a una perdita compresa tra il 5-20 per cento mantenendo il modello “business as usual” e non cambiando niente. Benché l’analisi esaustiva di Stern facesse intuire che il non agire è di gran lunga la soluzione economicamente più costosa, ad oggi le azioni e gli investimenti tardano a essere implementati. Agiamo solo sull’emergenza a “danni fatti” senza investire nel futuro del nostro ambiente e delle nostre società, spesso sprecando le limitate risorse economiche a disposizione [3]. Il recente premio Nobel per l’economia, William D. Nordhaus, riprende l’aspetto economico dei cambiamenti climatici. Nella sua ricerca spiega come molte discipline si intreccino tra loro quando si parla di riscaldamento globale: dalla scienza all’energia, dall’economia alla politica. La sua teoria parte dal concetto che l’ambiente è un bene comune, condiviso da tutti eppure nessuno paga per esso in modo appropriato. Ognuno di noi trae innumerevoli benefici dall’ambiente a titolo gratuito. Allo stesso tempo siamo danneggiati dal suo deterioramento, sebbene il valore di questi danni non venga colto dal mercato in maniera diretta [4].
Agiamo solo sull’emergenza a “danni fatti” senza investire nel futuro del nostro ambiente e delle nostre società, spesso sprecando le limitate risorse economiche a disposizione.
Nordhaus spiega come le soluzioni alla grande sfida del cambiamento climatico più efficienti ed efficaci debbano provenire proprio dal mercato, uno dei sistemi più potenti del pianeta. La proposta di Nordhaus in un’ottica di prevenzione è l’introduzione di una tassa sulle emissioni nota come carbon taxing. Secondo il suo studio questo è il modo economicamente più vantaggioso per ridurre le emissioni di gas serra. Consumatori e aziende sarebbero incentivati a utilizzare meno combustibili di questo tipo. Conclude dicendo che i mercati devono assumere un ruolo guida ma al tempo stesso necessitano del supporto di politiche governative consapevoli. Le evidenze ci spingono a cogliere questa sfida, senza indugiare oltre sul quantificare l’entità del cambiamento climatico o i danni a esso associati: la posta in gioco è troppo alta. L’opportunità unica e irripetibile di migliorare la salute globale attraverso uno sviluppo sostenibile ed equo può solo essere un bene, cambiamenti climatici o no.
L’opportunità unica e irripetibile di migliorare la salute globale attraverso uno sviluppo sostenibile ed equo può solo essere un bene, cambiamenti climatici o no.
Bibliografia
[1] Special Report on Global Warming of 1.5°C. Incheon, South Korea: Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), 2018.
[2] USG for Economic and Social Aff airs – United Nations. Global sustainable development report, 2015 edition | www.sustainabledevelopment.un.org
[3] Stern N. The Economics of Climate Change: The Stern Review. Cambridge: Cambridge University Press, 2007.
[4] Cho A. Nobel Prize for the economics of innovation and climate change stirs controversy. Science News, 8 ottobre 2018.