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Fake e postverità ArticoliTimeline

La battaglia impari tra il vero e il falso

Com’è diventato facile trovare una scusa per dichiarare guerra, inventare la cugina di Renzi e seminare paura tra la gente.

Alessandro Magini

Giornalista

By Ottobre 2018Luglio 30th, 2020Nessun commento

“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” è la frase più famosa di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich. Ecco, è così che funzionano le fake news, notizie false che per milioni di persone diventano vere a forza di rimbalzare su internet e si propagano a una velocità tale da non permettere rettifiche, controlli e smentite. Non è un problema che riguarda esclusivamente gli addetti ai lavori come giornalisti o esperti di comunicazione, ma un vero e proprio virus che minaccia la salute, inquina il dibattito politico, il processo decisionale e quindi la democrazia stessa.

Cosa sono e come nascono le fake news
Le fake news non sono tutte uguali: possono avere origini e scopi diversissimi tra loro. Anche i temi inquinati dalle bufale sono eterogenei, si va dall’alimentazione alla storia, dalla salute all’economia, dalla politica alla tecnologia. Esistono poi fake news confezionate a regola d’arte e difficili da distinguere da notizie reali e verificate, così come bufale riconoscibili anche solamente dal titolo. Questo perché non tutte le notizie false hanno la stessa origine. L’Oxford internet institute, in un recente rapporto, afferma che nel 2018 sono state organizzate vere e proprie campagne di disinformazione in 48 paesi [1]. Per intenderci, un esempio di campagna organizzata può essere il Russiagate, il sabotaggio da parte dell’intelligence russa ai danni della candidata democratica Hillary Clinton e la produzione di fake news che avrebbero avvantaggiato Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca. Altro esempio di campagna organizzata è quello del movimento antivax, che può contare su migliaia di cittadini pronti a postare e condividere ogni articolo proveniente da una serie di blog e siti riferibili al movimento stesso.

Esistono poi le fake news politiche e governative. Un governo, tramite i propri profili social e i suoi portavoce, può diffondere notizie false allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai suoi problemi interni, convincere i cittadini della bontà delle proprie scelte, prevenire le critiche e silenziare l’opposizione. Trump e il suo staff offrono diversi esempi di come le fake news possano essere utilizzate dal governo di uno stato democratico. Tra gli episodi più noti, in questo senso, va ricordato il “massacro di Bowling Green”. Nel febbraio del 2017 Trump e il suo governo si trovano ad affrontare durissime contestazioni per la proposta di introdurre il cosiddetto “muslim ban”, il provvedimento che impedirebbe ai cittadini di sette paesi a maggioranza islamica di entrare negli Stati Uniti. Nel corso di un’intervista al network MSNBC, la consigliera personale del presidente Trump, Kellyanne Conway, giustifica così il provvedimento: “Scommetto che per tutti è un’informazione nuova che il presidente Obama abbia istituito un blocco di sei mesi all’ingresso degli iracheni dopo che due iracheni sono venuti in questo paese, sono stati radicalizzati e sono stati le menti dietro il massacro di Bowling Green. Intendo dire che la gente non lo sa perché non se ne è parlato”. Del massacro non si è parlato per la semplice ragione che non è mai avvenuto: Bowling Green è una tranquilla cittadina del Kentucky che non ha mai conosciuto atti di terrorismo [2,3].

Per non parlare della “regina” delle fake news del ventunesimo secolo, ovvero la bufala della presenza di armi di distruzione di massa in mano al governo iracheno, che servì all’amministrazione Bush per invadere l’Iraq nel 2003. Per quelle menzogne, dodici anni più tardi, l’ex premier inglese Tony Blair chiederà scusa [4,5]. Un po’ poco, per una guerra che è costata milioni di morti, miliardi di dollari e ha portato all’instabilità politica un’intera area del pianeta come il Medioriente.

Accanto a queste campagne organizzate da veri e propri professionisti della disinformazione esistono anche fake news “fatte in casa”, estremamente grossolane ma non per questo meno pericolose. Anche grazie all’avvento dei social network, infatti, chiunque può costruire una menzogna e renderla virale. È sufficiente una minima conoscenza informatica per postare una bugia sui propri profili social e aspettare che questa rimbalzi prima sui propri contatti e poi si propaghi a macchia d’olio sulla rete. Esempio emblematico è il caso della finta cugina di Matteo Renzi assunta come portaborse con uno stipendio stratosferico. Era il febbraio del 2018 e la foto divenne un caso pubblico. Vale la pena ripercorrere la vicenda per capire come funziona il meccanismo. È il 17 febbraio quando Luca e la sua ragazza Giusy decidono di fare uno scherzo ai propri contatti di Facebook. Sul profilo di Luca pubblicano una foto di Giusy accompagnata dal testo: “Questa è Francesca Renzi, cugina di Matteo Renzi. Assunta come portaborse al Senato, guadagna 23 mila euro al mese! Se sei indignato anche tu, condividi!”. Il post è accompagnato da tre faccine che ridono, a sottolineare la natura scherzosa dello stesso. La cifra che guadagnerebbe “la portaborse”, poi, è talmente assurda da rendere immediatamente riconoscibile la bufala. Nei primi giorni non succede nulla, soltanto qualche amico di Luca rilancia il post sul suo profilo, e la bufala non diventa virale fino a quando, una mattina, l’autore dello scherzo accede al proprio profilo e nota che il suo post è stato condiviso da oltre 50 mila persone. Nel frattempo divampa la polemica politica, Renzi scrive di essere vittima di un attacco portato avanti dai suoi avversari, la notizia viene ripresa da tutti i giornali e le televisioni del paese. Quando Luca si rende conto che il suo scherzo è diventato una fake news che nemmeno lui è più in grado di controllare o bloccare è troppo tardi, come racconterà in un’intervista [6,7].

La complessità del fenomeno
Se in alcuni casi è impossibile o quasi calcolare l’effetto delle fake news – ancora oggi, per esempio, non si riesce a capire quanto le interferenze di Mosca abbiano influenzato il voto negli Stati Uniti – è invece assodato che la diffusione di menzogne su temi sensibili come la salute pubblica abbia avuto un impatto negativo sulla società. Mentre gli stati tentano di impedire il fenomeno attraverso leggi più severe e gli esperti insegnano a difendersi dalle fake news, appare evidente come i cittadini siano disarmati davanti alla moltitudine di falsità diffuse sulla rete. Perché internet, con la sua velocità e la sua diffusione, risulta il principale vettore di fake news. Il problema non consiste solo nella quantità di utenti che popolano la rete e nella possibilità che questa offre di scambiare informazioni incontrollate in tempo reale. La radice del fenomeno sta nell’impossibilità di distinguere il vero dal falso, dal momento che su internet non è la fonte a determinare la validità dell’affermazione, ma il numero di volte che l’affermazione stessa viene condivisa. La democraticità del web è diventata un’arma a doppio taglio. Se uno scienziato, che ha studiato per anni una determinata patologia, pubblica un post che viene visto da poche decine di utenti, mentre un complottista, attraverso la sua rete di contatti, blog e pagine Facebook, riesce a ottenere decine di migliaia di visualizzazioni, risulta evidente come la battaglia tra il vero e il falso sia impari. Prima dell’avvento di internet, infatti, la fonte veniva prima del contenuto. Il New York Times era il New York Times, e il giornalino scolastico era il giornalino scolastico. Ma sulla rete contano i click, le visualizzazioni, e più sono alti i numeri e più soldi si ricavano con la pubblicità. Per questo una notizia falsa condivisa migliaia di volte risulta più appetibile di una notizia vera che non riscuote lo stesso successo. L’aspetto economico gioca un ruolo chiave nella diffusione delle bufale. Paradossalmente, più un titolo è clamoroso/catastrofico/incredibile più risulta vantaggiosa la sua presenza sulle pagine social da parte delle piattaforme di condivisione come Facebook, Twitter e Google.

“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”, sosteneva Joseph Goebbels. In realtà il gerarca nazista quella frase non l’ha mai scritta né pronunciata, ma a forza di essergli attribuita è come se fosse diventata davvero sua. Paradossalmente, la falsa attribuzione della frase ha finito per confermare il senso della frase stessa. Ecco, è così che funzionano le fake news.

Bibliografia

[1] Oxford internet institute. New report reveals growing threat of organised social media manipulation world-wide. Oii. ox.ac.uk, 20 luglio 2018.
[2] Rutenberg J. The massacre that wasn’t, and a turning point for ‘fake news’. The New York Times, 5 febbraio 2017.
[3] La frase di Kellyanne Conway è stata presa dal video: Kellyanne Conway cites “Bowling Green massacre” to defend refugee ban | Hardball | MSNBC. YouTube, 2 febbraio 2017.
[4] Franceschini E. La svolta di Tony Blair sull’Iraq: “Io e Bush abbiamo sbagliato”. La Repubblica, 2 maggio 2017.
[5] Mason R, Asthana A, Stewart H. Tony Blair: “I express more sorrow, regret and apology than you can ever believe”. The Guardian, 6 luglio 2016.
[6] Mar. Pen. La fake news sulla cugina di Renzi: “Lestofanti che provano a influenzare la campagna elettorale”. Il Corriere della Sera, 18 febbraio 2018.
[7] Cangemi A. La bufala della cugina di Renzi assunta come portaborse al Senato per 23 mila euro al mese. Fanpage.it, 23 febbraio 2018.

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