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Fake e postverità Articoli

Dalla postverità al postare la verità

La lunga ombra delle fake news sui social network.

Alessandro C. Rosa

Dipartimento di epidemiologia, Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1

By Ottobre 2018Dicembre 1st, 2021Nessun commento

In principio era la tradizione orale, poi venne la carta stampata, ben più di recente la televisione, infine i social network. La diffusione di una qualsivoglia notizia è veicolata dall’utilizzo, consapevole o meno, che l’essere umano fa dei mezzi di comunicazione messi a disposizione dal periodo storico contingente. In questa prospettiva, se da un lato la pervasiva “big data era” sembra essere, rispetto al passato, un’inarrestabile e rapidissima generatrice di fake news, dall’altro è interessante sottolineare la natura digitale dei canali nei quali le notizie si propagano, ovvero social network e siti web.

I contenuti prodotti nel web possono diventare dati, analizzabili mediante opportune tecniche informatiche. Pertanto, per uno strano paradosso, se il web produce un numero macroscopico di (ci si augura non solo fake)

Lo studio del Mit
È probabile che queste siano state le premesse con le quali è stata condotta un’interessante ricerca del Massachusetts institute of technology, pubblicata su Science, che si pone l’obiettivo di far luce sui meccanismi di propagazione di false notizie su una piattaforma web di interesse accademico e di ampio utilizzo soprattutto nel mondo anglosassone, quale Twitter [1].

Gli autori dell’articolo, con la collaborazione dell’azienda Twitter, hanno accuratamente esaminato circa 126 mila notizie in lingua inglese pubblicate sul social network da circa 3 milioni di utenti singoli tra il 2006 e il 2017, un arco temporale che copre la quasi totale esistenza della piattaforma. Si è ottenuto un dataset composto da tweet e retweet di 4,5 milioni di contributi. Le notizie estratte sono state suddivise in tre categorie (vere, false, parzialmente vere) sulla base della valutazione di sei organizzazioni indipendenti (si tratta della pratica di fact checking, ovvero il controllo incrociato, da parte di analisti super partes, delle notizie diffuse dai mezzi di comunicazione volto a misurarne l’attendibilità). Tra le analisi svolte, i ricercatori hanno misurato la probabilità con cui un tweet riesca a creare una cascata di retweet; hanno indagato le modalità con cui una notizia vera o falsa si diffonde tra gli utenti, verificando se le notizie false avessero propagazione differenziale per argomento trattato; mediante specifici algoritmi, hanno verificato se una maggior predisposizione al retweet fosse attribuibile ad account riconducibili a persone reali oppure a profili automatizzati, i cosiddetti “bot”.

In sintesi, i principali risultati sono i seguenti: un’informazione falsa è più probabile che sia retwittata rispetto a una vera e avrà una diffusione maggiore (e più in profondità, ovvero attraverso più contatti) rispetto a una vera. La probabilità di retweet è più alta per contenuti giudicati, dagli utenti, nuovi e insoliti. Una notizia certificata come vera si propaga raramente per più di 1000 account, mentre l’uno per cento delle fake news di maggior rilevanza mediatica ne raggiunge fino a 100.000. Rispetto ai macro-temi, le falsità più virali fanno riferimento al contesto della politica. Ultimo ma non per importanza, un apposito algoritmo ha rivelato che i principali responsabili della diffusione di notizie false siamo, sorprendentemente, noi, utenti reali. I bot, al contrario, diffondono a velocità costante tutte le news, indipendentemente dal fatto che siano o meno fake.

Influencer (in)consapevoli
La disinformazione presente in Twitter viene quindi alimentata da noi utenti, le pulsioni che suggeriscono i meccanismi di propagazione sono prettamente umani. Le ripercussioni, nella vita reale, di tali comportamenti sono un problema forse sottostimato, complesso, di non semplice inquadramento. Le notizie false che diventano virali in quanto auto-confermative dei nostri preconcetti, spinte dall’onda emozionale del sensazionalismo, senza verifica di oggettività, possono come estrema conseguenza confondere l’opinione pubblica, orientare scelte elettorali, delegittimare gratuitamente personalità e istituzioni, banalizzare persino il dibattito scientifico. In una parola, destabilizzare. Basti pensare, per quanto riguarda il caso dell’Italia, alla diatriba del virologo Burioni versus sostenitori anti-vax intorno al delicato tema di salute pubblica dei vaccini. Altro paradosso dei tempi, le fake news possono rappresentare un problema nel breve termine persino per le stesse piattaforme web. Aziende come Twitter e Facebook sono quotate in borsa e la talvolta poco limpida attività di influencer propagatori di fake news può creare, per esempio, un danno di reputazione del servizio stesso.

Intraprendere azioni volte a limitare la diffusione di falsità ha una valenza in primis culturale e va ben oltre la semplicistica demonizzazione di internet e dei social network; l’azione di contrasto richiede una profonda riflessione strategica da parte di decisori politici, mondo accademico e aziende, oltre a un imprescindibile (facile a dirsi) cambio di paradigma da parte della società civile nell’approccio critico alla notizia. Combattere la postverità nello stesso terreno in cui oggi viene alimentata, retwittando i risultati dello studio? Può essere un punto di inizio.

Bibliografia

[1] Vosoughi S, Roy D, Aral S. The spread of true and false news online. Science 2018;359:1146-51.