Nel suo libro Neurobiologia del tempo (Raffaelo Cortina editore) scrive che il tempo è reale ed esiste, diversamente da quanto teorizzato da molti fisici da Einstein in poi, per i quali il tempo è relativo: ogni evento ha il suo tempo. Come conciliare le diverse concezioni del tempo?
La maggior parte dei fisici contemporanei sostiene che il tempo non esiste se non come quarta dimensione dello spazio. Non è facile capire che cosa significhi. Nemmeno Einstein ne era convinto. Spazio e tempo, per il sentire comune, sono contenuti della coscienza diversi, come sono diversi, in parte, i meccanismi nervosi che li creano. Tutti i fisici, da Newton in poi, negli scritti sul tempo, non si son mai chiesti che cosa il tempo sia e da dove venga. La domanda non si trova in nessun lavoro di fisica, nemmeno in quello, venduto a milioni di copie, di Stephen W. Hawking A Brief History of Time. Il chimico premio Nobel Ilya Prigogine, nel suo La nascita del tempo si guarda dal chiederselo, e, per il fisico Carlo Rovelli, il succedere di passato, presente e futuro “si è rivelato falso”, e il mondo senza tempo è paragonabile “alla bellezza arida delle labbra screpolate delle adolescenti.” In seguito al risultato di un’equazione i fisici sostengono che il tempo non esiste. Fino all’assurdità di Einstein, che scrive alla famiglia dell’amico Michele Besso, appena defunto, che è indifferente se è morto prima lui, perché prima e dopo sono “un’illusione testardamente tenace”, senza la quale, ci si consenta di commentare, la vita sarebbe il caos. Non tutti i fisici negano il tempo. Uno dei maestri della fisica quantistica, John S. Bell, ha scritto che “la meccanica quantistica, in circostanze sufficientemente critiche, potrebbe essere sbagliata (…) per la completa assenza, negli esperimenti esistenti, del fondamentale fattore tempo.” Il fisico Lee Smolin, studioso d’alto livello di fisica quantistica, sostiene che il tempo è reale e che nessuna nostra esperienza si avvicina al cuore della natura più della realtà del tempo. Diversi suoi colleghi lo considerano un visionario rompiscatole.
E se davvero il tempo non esistesse, come afferma la fisica quantistica?
Se i fisici avessero ragione, il mondo sarebbe, assicura uno di loro, come le labbra screpolate delle ragazzine. Simili risposte sono fanfaluche. Le neuroscienze hanno dimostrato, con dati sperimentali corroborati e confermati, che il tempo è un evento della coscienza creato da meccanismi del cervello. Quindi è reale. La risposta alla domanda che cosa il tempo sia, è venuta dalle neuroscienze a metà dell’ottocento, con dati sperimentali che sconvolsero uno dei pilastri della biologia. Allora era convinzione indiscutibile che il sistema nervoso, umano e degli animali, lavorasse ad una velocità tale da non poter esser misurata. Lo stimolo nervoso era simultaneo al suo effetto, ad esempio la contrazione di un muscolo. Nel libro Neurobiologia del tempo si parla a lungo della scoperta del tempo come meccanismo cerebrale e della sua realtà. La prova che il tempo è un meccanismo cerebrale, paragonabile a quello del linguaggio, fu il reperto quasi casuale di una ricerca, nel 1849, del non ancora trentenne biologo tedesco Hermann Helmholtz (che dal 1883 poté fregiarsi dell’onorifico von) sull’elettricità animale. Egli dimostrò che eventi fisici e mentali come muovere un arto, riflettere, percepire, reagire, ricordare, decidere, sono prodotti dal cervello che per realizzare ogni evento ha bisogno di un tempo di cui non siamo consapevoli, perché i meccanismi nervosi della coscienza non ne vengono informati. La simultaneità di stimolo ed effetto è un’illusione. Chiamò il tempo impiegato dal cervello per elaborare un evento, in francese, temps perdu, perduto per la coscienza e quindi per la memoria. “I pensieri”, scrisse von Helmholtz, “non sono veloci come il vento”, come ci sembra che siano. Il cervello fornisce ai meccanismi nervosi della coscienza il senso del tempo, manipolato fino all’annullamento a seconda delle circostanze. Ci furono poi molte riflessioni filosofiche e psicologiche sul tempo, ma nessuna ricerca sperimentale, perché il senso del tempo si può studiare solo sul cervello umano vivo. Fino alla visualizzazione cerebrale con l’elettroencefalografia, la tomografia assiale computerizzata, la risonanza magnetica nucleare, e le derivazioni elettriche corticali, ciò non era possibile. Lo studio neurobiologico del tempo fu ripreso negli anni ’60 del secolo scorso da uno dei protagonisti della ricerca neurofisiologica, il californiano Benjamin Libet. Egli dimostrò che fra qualsiasi sensazione (toccare, vedere, sentire, ecc.) e la coscienza di essa, cioè la percezione, passa circa mezzo secondo, impiegato dallo stimolo elettrochimico nervoso per arrivare all’area della sensibilità e per essere elaborato in varie aree del cervello e inoltrato ai meccanismi nervosi della coscienza nella parte frontale. Quando lo stimolo arriva ai centri della coscienza, cioè diventa cosciente, la risonanza magnetica e l’elettroencefalografia mostrano uno scoppio di attività frontale. Ma appunto dopo circa mezzo secondo, intervallo fra stimolo e consapevolezza di cui non siamo coscienti. Noi viviamo nel passato, perché del presente siamo coscienti dopo mezzo secondo. Le neuroscienze cognitive hanno poi scoperto quali sono i centri cerebrali che creano il senso del tempo e le sue manipolazioni, e le loro connessioni con i centri dell’affettività (il sistema limbico). Il tempo della vita, a differenza di quello degli orologi (entrambi creati dal cervello), cambia a seconda dello stato emotivo: un evento noioso dura più a lungo di uno che coinvolge ed esalta, anche se la loro durata per l’orologio è uguale. Se noi pigiamo un tasto e dopo un certo intervallo si sente un suono, il tempo soggettivo fra i due eventi è più breve di quello oggettivo. Esso è “compresso”. La compressione del tempo fra causa ed effetto, attuata spontaneamente dal cervello, facilita il senso della causalità. La compressione del tempo regola il rapporto della coscienza col mondo. Nonostante la mole di lavori sul cervello organo del tempo, i fisici non ne hanno preso conoscenza e continuano ad ignorarli. È una delle stravaganze più vistose della storia della cultura.
Dove e come nasce la coscienza del tempo?
Quando guardiamo l’orologio per sapere l’ora, diamo un valore numerico a che cosa? Quando lo riguardiamo per sapere quanto tempo è passato, che cosa è trascorso? Se ciò che è trascorso è misurabile, come si può dire che non esiste? Come si può sostenere che non esiste, perché escluso da un’equazione, uno dei tralicci fondamentali dell’esistenza individuale e universale? La coscienza del tempo è un meccanismo nervoso trasmesso col genoma da una generazione all’altra e che matura quasi contemporaneamente ai centri della memoria, essenziali per la coscienza del passato. Già Immanuel Kant definiva il tempo la condizione a priori di ogni apparenza in generale” e von Helmholtz, studioso di Kant, localizzò l’a priori nel cervello, che crea il senso del tempo e lo manipola a seconda delle circostanze. I meccanismi nervosi del senso del tempo sono attivi anche durante l’incoscienza del sonno. Nel libro si riassumono le ricerche neuropsicologiche che corroborano quest’assunto. Un’ulteriore conferma della realtà e della natura nervosa del tempo viene dalla dimostrazione che tutti gli esseri viventi dotati di un sistema nervoso anche minuscolo (come api e formiche) hanno un senso del tempo, ovviamente non numerico, molto preciso. Nelle api, ad esempio, sarebbe ancora più preciso che nell’uomo: se in certi posti ogni dieci minuti vien messa acqua zuccherata, le api sono lì non un secondo prima e non un secondo dopo. L’evoluzione ha selezionato meccanismi del tempo fino a quello numerico umano, che comunque non è più preciso di quello di api e formiche.
Come spiegare la percezione diversa del fluire del tempo della persona anziana rispetto al bambino e all’adolescente, del paziente con una malattia del cervello?
Lesioni cerebrali come tumori e ictus possono causare le alterazioni più diverse del senso del tempo fino alla sua scomparsa, ad ulteriore conferma che il senso del tempo è prodotto dal cervello. Le alterazioni del senso del tempo da malattie cerebrali possono compromettere molto l’esistenza. Circa il senso del tempo in bambini e anziani: a riprova dell’ambiguità di Einstein sul tempo, egli da un lato sosteneva che il tempo è un’illusione, dall’altra stimolava il grande psicologo dell’infanzia Jean Piaget a studiare lo sviluppo del senso del tempo nel bambino. Come studiare qualcosa che non esiste? Sul senso del tempo nei bambini Piaget ha scritto uno studio memorabile. Iniziano ad esserne coscienti verso i 3-4 anni, col futuro prima del presente. Il bambino dice domani prima di ieri, perché ieri presuppone lo sviluppo dei centri della memoria, che non è sempre simultaneo con quello del tempo. L’accelerazione del senso del tempo trascorso nell’età avanzata è un fenomeno universale: dopo una certa età, il tempo passato sembra esser trascorso in un attimo, mentre quello della quotidianità rimane più o meno costante. Come ciò avvenga non è chiaro. Di tutto questo si parla nel libro.
Come vive lei il tempo come persona? E come medico neurochirurgo?
Sono da tempo in pensione dopo aver lavorato per decenni come neurochirurgo con un’intensità di cui non mi credevo capace. Non ho mai sentito il tempo come uggia e noia. All’inizio della specializzazione mi occupai di pazienti con lesioni cerebrali, uno dei sintomi delle quali erano alterazioni, anche gravi, del senso del tempo. Da quest’esperienza è sorto il mio interesse per il cervello organo del tempo. Assieme ad altri, anch’essi di natura medica, l’interesse continua e riempie il tempo.