Quando agli italiani viene chiesto di valutare l’operato del Servizio sanitario nazionale, l’aspetto di cui essi si lamentano maggiormente riguarda i lunghi tempi d’attesa. Di fronte a tali tempi d’attesa, è comprensibile che molti pazienti preferiscano pagare la prestazione di tasca propria e rivolgersi al settore privato oppure all’offerta in regime di intramoenia. Va infatti tenuto presente che nel nostro paese il problema delle liste d’attesa riguarda quasi esclusivamente le strutture pubbliche: quelle private hanno solitamente tempi di risposta molto inferiori. Come conferma anche una recente ricerca del Censis, oltre la metà di coloro che si rivolgono a fornitori privati, pagando l’intero costo della prestazione, dichiara di farlo a causa delle lunghe liste d’attesa nelle strutture pubbliche.
Per far fronte al problema la regione Emilia-Romagna sta sperimentando un piano per la riduzione dei tempi d’attesa nella specialistica ambulatoriale che suscita particolare interesse perché include una pluralità di azioni: alcune mirano ad aumentare l’offerta di prestazioni specialistiche; altre intervengono invece sulla domanda, cercando soprattutto di ridurre la richiesta di cure inappropriate e di scoraggiare il fenomeno dei no-show patient; altre misure ancora puntano a raccordare domanda ed offerta, e a neutralizzare l’effetto di alcuni incentivi perversi. Questo piano sembra essere efficace: nei primi due anni di attuazione l’obiettivo inizialmente prefissato non solo è stato centrato ma è stato anche ampiamente superato da tutte le otto aziende sanitarie coinvolte. A decretare il successo è stato soprattutto il potenziamento del sistema di offerta. Il piano non sembra invece aver inciso particolarmente sulla domanda – pertanto l’inappropriatezza delle prescrizioni, che gonfi a inutilmente la domanda, rappresenta un elemento di criticità persistente.
Dai contesti analizzati emerge che la forza del piano, oltre alle misure concrete, sta anche nella volontà decisa e vincolante di contrastare quotidianamente i tempi d’attesa. All’interno delle aziende sanitarie, il problema viene affrontato come qualcosa di complesso ma risolvibile, e non più come un inconveniente intrinseco al servizio sanitario universalistico. Ogni giorno si monitorano le agende, si fanno analisi, ci si approccia proattivamente alle criticità per impegnare le risorse nel modo più efficiente possibile.
Va infine tenuto presente che l’obiettivo dichiarato della Regione Emilia-Romagna è stato fissato in corrispondenza di almeno il 90 per cento delle visite e degli esami specialistici effettuati entro rispettivamente 30 e 60 giorni. Ma l’asticella potrebbe essere ulteriormente alzata, arrivando al 100 per cento delle prestazioni erogate. Se infatti il tempo massimo di attesa si configura come un diritto del paziente (o anche solo come uno standard qualitativo che la regione vuole comunque garantire), allora ad essere fornita nei limiti massimi dovrebbe essere la totalità delle prestazioni.
I risultati conseguiti sono stati finora certamente positivi, ma – in futuro – si potrebbe fare ancora meglio.
Testo tratto da: Rio A, Toth F. Il piano dell’Emilia-Romagna per ridurre le liste d’attesa in sanità. Politiche sanitarie 2018;19:80-90.