Ho conosciuto poco tempo fa, a un convegno, una esperta di tempo, ovvero del suo uso razionale nella vita di un individuo. Al mio subitaneo interesse per il problema – che non ho ancora risolto, ma me ne occupo da appena trent’anni – lei mi fece un esempio: noi non sappiamo distinguere tra impegni urgenti e impegni importanti e finiamo per dare la precedenza ai primi e posporre i secondi, mentre dovrebbe accadere il contrario.
È stato in quella occasione che ho constatato come si possa imparare perfino dagli esperti e la distinzione ha continuato ad agire nella mia mente, anche se non ancora nella mia attività. Per ricambiare il suo suggerimento prezioso, le chiesi se sull’argomento conoscesse le riflessioni di Seneca nelle Lettere a Lucilio.
“Le cercherò – mi rispose. – Ma non è un classico?”. Sarebbe curioso uno studio sull’uso della avversativa “ma” in casi come questo. Per rassicurarla, risposi che a Seneca per i manager Georg Schoeck aveva dedicato una antologia, estrapolando dalla medesima opera una raccolta di aforismi. Ricordavo di Seneca l’attacco memorabile, con i suoi accenti cupi e gravi: “Persuaditi di questa verità: una parte del tempo ci è strappata, un’altra ci è sottratta, un’altra ci sfugge. Ma la perdita più vergognosa è dovuta alla nostra negligenza. E se vorrai badarci, noterai che gli uomini passano la maggior parte della vita agendo male, molta parte senza agire, tutta la vita agendo in modo diverso da come dovrebbero”. Avevo cercato queste frasi nell’antologia, senza trovarle.
Le antologie ci deludono comunque: quando troviamo quello che cerchiamo, perché già lo conosciamo; e, quando non lo troviamo, perché manca. Ma Seneca è troppo inventivo perché, in qualunque parte lo si amputi, non riformi un tessuto vitale.
Però in quel caso si prendeva una vendetta occulta. Il suo antologista raccontava infatti di averlo saccheggiato per un anno, come redattore del bollettino di un club di manager; e aggiungeva che il successo lo avrebbe indotto a pubblicare una scelta, seguendo sempre il criterio della “attualità”. Ma è solo la inattualità che rende attuali quelle massime. Il tema che vi ricorre in modo ossessivo è l’uso del tempo. E tuttavia credo che in nessuna epoca, come nella nostra, il tempo libero sia diventato tempo coatto: quasi tutto dedicato al terzo o al quarto lavoro, che l’abulia del linguaggio continua a chiamare secondo.
Quanto alla vacanza, Seneca insegna a prendersela non dopo il lavoro, ma prima: magari per prolungarla.
Né bisogna dimenticare che un popolo come il romano, cui tutto si potrebbe imputare tranne la pigrizia, chiamava il lavoro negotium, ovvero interruzione dell’ozio (nec-otium) e stabiliva così, almeno linguisticamente, una priorità significativa.
Forse per questo l’antologia si rivolgeva ai manager. Ma vi siamo inclusi anche noi, strateghi di una vita di cui l’unica certezza è l’errore.
Dal libro
Le sabbie immobili
Bologna: Il Mulino, 1991