È preoccupante che una parte considerevole della popolazione globale abbia solo pochi minuti per consultare il proprio medico. È probabile che una così breve durata influenzi negativamente l’assistenza ai pazienti e il carico di lavoro e lo stress del medico”: queste le conclusioni di uno studio pubblicato sul BMJ Open [1] che ha cronometrato la durata media della visita del medico generalista in 67 paesi. Per la metà della popolazione la durata non supera i 5 minuti, variando dai 48 secondi del Bangladesh ai 22 minuti e mezzo della Svezia. In Europa è mediamente intorno ai 10-12 minuti, 9 nel Regno Unito, 12 in Germania, 15 in Francia. L’Italia non è presente nella lista, ma stime della Società italiana di medicina generale e dell’Organizzazione mondiale della sanità ipotizzano un tempo di visita tra 9 e 12 minuti.
Questo studio presenta altre interessanti osservazioni: le visite sono più brevi nei paesi che hanno una bassa spesa sanitaria e un basso numero di medici per abitante, suggerendo che la durata della visita possa essere un buon indicatore di povertà; una durata più lunga riduce i ricoveri ospedalieri per diabete e il burnout dei medici. Non vi è una correlazione significativa tra tempo di visita e numero di contatti per paziente, anche se questi tendono ad aumentare negli anni. In Italia, per esempio, vi è stato un raddoppio tra il 2005 e il 2015 da 4,6 a 9,7 contatti/paziente/anno [2].

Fonti: Greg Irving et al. BMJ Open 2017;7:e017902; Società italiana di medicina interna.
Da cosa dipende la durata del colloquio
Molte ricerche si sono interrogate su quali siano i determinanti che influenzano la durata della visita, esaminando diverse variabili e giungendo a conclusioni non sempre concordanti, anche per le differenze culturali e organizzative dei sistemi sanitari dei paesi dove sono state condotte.
Secondo Helena Britt [3], medico di famiglia australiano, le visite di maggior durata sono svolte dalle dottoresse, non giovani, che lavorano in aree rurali e riguardano pazienti nuove, prevalentemente anziane, di alto livello socio-economico con pluripatologia e con problemi di tipo psicosociale.
Myriam Deveugele, psicologa dell’università di Ghent, ha analizzato la durata della consultazione in sei diversi paesi europei esaminando le caratteristiche di tre ambiti: il paese, il medico e il paziente [4]. Ha concluso che sono principalmente le caratteristiche e i problemi (psicosociali piuttosto che biomedici) del paziente (soprattutto se donne e anziani) a determinare la durata dell’incontro con il medico, anche se è la sensibilità di quest’ultimo a decidere il tempo da dedicare.
Sarah Stevens e colleghi dell’università di Oxford [5], studiando l’attività dei medici inglesi, pur confermando alcune delle precedenti osservazioni, rilevano che la durata della visita non varia molto da un paziente all’altro e che questi sono trattati in maniera abbastanza simile, al di là delle loro caratteristiche. Segnala una differenza: la visita dura di più negli studi medici dove si svolge anche attività didattica.
Estella Geraghty con i colleghi della UC Davis [6] ha scelto un campo di indagine più specifico: pazienti californiani affetti da depressione afferenti a studi di medicina generale. In questo caso è stata riscontrata una grande differenza della durata della visita, principalmente attribuibile allo stile del medico e al suo carico di lavoro (più pazienti al giorno, meno tempo per ciascuno). Inutile dire che la soddisfazione dei pazienti era proporzionale alla durata della visita.
Peter Orton e Denis Pereira Gray [7] introducono, tra i determinanti della durata della visita medica, un interessante nuovo elemento: il burnout che, sorprendentemente, prolunga le visite svolte dai medici inglesi maschi colpiti da “emotional exhaustion”; le dottoresse già normalmente si intrattengono di più con l’assistito. Ulteriori elementi che rendono la visita più lunga: un medico all’inizio della carriera e una assistenza centrata sul paziente. Per concludere, una revisione della Cochrane del 2016 [8] non ha trovato elementi né a favore né contro l’utilità di modificare la durata delle visite mediche in rapporto ai risultati di salute.
La qualità non dipende dalla durata
Al di là di cosa determini o meno i tempi della visita medica sarebbe opportuno mettersi dalla parte del paziente: è la durata o sono i contenuti della visita a soddisfare il paziente? Una revisione sistematica degli studi sull’argomento [9] è arrivata alla conclusione che a fare la differenza è la capacità del medico di esplorare i fattori psicosociali della vita del paziente, aiutandolo ad aumentare la sua consapevolezza e affermazione. Avere più tempo a disposizione favorisce l’uso di questa competenza.
Allora, quanto tempo ci occorre per svolgere la nostra professione, avendo una relazione efficace con i nostri pazienti? Il lavoro di Wolf Longewitz dell’Ospedale universitario di Basilea e colleghi [10] ci tranquillizza: bastano solo due minuti! Questo è il tempo che otto pazienti su dieci impiegano per inondare il proprio medico con il racconto dei propri malesseri: l’importante è saperli ascoltare.
Infatti l’ascolto è la parte più importante della visita medica. Lo è ancor di più la prima volta che incontriamo il paziente: solo così possiamo conoscerlo ed entrare in sintonia. Come ha scritto Danielle Ofri [11] la difficoltà per noi medici è sentire cosa dice “veramente” il malato, spogliandoci dei nostri pregiudizi e delle nostre convinzioni, riconoscendo le nostre emozioni, accettando le stravaganze dei racconti, rinunciando a pensare di aver capito immediatamente cosa vuole il paziente e a interrompere la comunicazione dopo aver fatto qualche domanda, facendo attenzione al linguaggio non verbale. Senza questo tipo di ascolto non si possono conoscere i bisogni del paziente e senza conoscere i suoi bisogni non si riesce a dare una risposta, anche relazionale, efficace. E questa mancanza spingerà il paziente a cercare un riscontro altrove, alla ricerca di un secondo e terzo parere, innescando un circolo vizioso di consumismo sanitario, né efficace né appropriato e certo non utile al paziente.
Dobbiamo usare più tempo con i pazienti con i quali istintivamente ne useremmo di meno.
Al medico di medicina generale serve tempo per visitare, per ascoltare e per parlare. Paradossalmente gli serve più tempo con i pazienti con i quali istintivamente ne userebbe di meno: sono quei pazienti “difficili”, che danno “un po’ fastidio” perché sono più esigenti, sono più influenzati da opinioni di non esperti, sono condizionati dalle trasmissioni televisive, e sembrano meno in grado di comprendere le nostre spiegazioni. Le parole sono importanti come un esame di laboratorio e vanno usate consapevolmente.
Saper usare il tempo in maniera efficace è una competenza che non si improvvisa e non è innata.
Noi medici dovremmo saper usare il tempo in maniera efficace e questa competenza, come il saper comunicare, non si improvvisa e non è innata. Prima o poi bisognerà che le nostre scuole di medicina investano anche in questo campo della formazione. D’altra parte una nuova sensibilità sull’importanza del tempo in medicina sembra farsi strada: la legge sul consenso informato afferma che “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”, riprendendo quasi testualmente l’articolo 20 del Codice di deontologia medica, richiamato anche nella sentenza [12] del Tar che ha bocciato il discusso decreto della Regione Lazio che stabiliva per 63 prestazioni i tempi massimi definiti cui il medico doveva rigorosamente attenersi.
Bibliografia
[1] Irving G, Neves AL, Dambha-Miller H, et al. International variations in primary care physician consultation time: a systematic review of 67 countries. BMJ Open 2017;7:e017902.[2] Istituto di ricerca della Simg. X report health search 2017
[3] Britt H, Valenti L, Miller G. Debunking the myth of general practice as “6 minute medicine”. Number 2014-002. Sydney: FMRC, University of Sydney, 2014.
[4] Deveugele M, Derese A, van den Brink-Muinen A, et al. Consultation length in general practice: cross sectional study in six European countries. BMJ 2002;325:472.
[5] Stevens S, Bankhead C, Mukhtar T. Patient-level and practice-level factors associated with consultation duration: a cross-sectional analysis of over one million consultations in English primary care. BMJ Open 2017;7:e018261.
[6] Geraghty EM, Franks P, Kravitz RL. Primary care visit length, quality, and satisfaction for standardized patients with depression. J Gen Intern Med 2007; 22:1641-7.
[7] Orton PK, Pereira Gray DJ. Factors influencing consultation length in general/family practice. Fam Pract 2016;33:529-34.
[8] Wilson AD, Childs S, Gonçalves-Bradley DC, Irving GJ. Interventions to increase or decrease the length of primary care physicians’ consultation. Cochrane Database Syst Rev 2016; 8:CD003540.
[9] Lemon TI, Smith RH. Consultation content not consultation length improves patient satisfaction. J Family Med Prim Care 2014;3:333-9.
[10] Langewitz W, Denz M, Keller A, et al. Spontaneous talking time at start of consultation in outpatient clinic: cohort study. BMJ 2002;325:682-3.
[11] Ofri D. Cosa dice il malato, cosa sente il medico. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2018.
[12] Intervista ad Magi A (intervista a). Tempari /1. Il Tar boccia il decreto della Regione Lazio. “È una vittoria per medici e cittadini”. Quotidianosanita.it, 30 maggio 2018.
L’evidenza del tempo di guardia
Si chiama Leticia Ruiz e ha 32 anni. È di Granada e ama la fotografia, anche se si dedica professionalmente a qualcos’altro che apparentemente non ha nulla a che fare: è medico e ama la sua professione. Amore fissato in una serie di immagini di grande profondità che, con trasparente disincanto, offrono al nostro sguardo alcuni dei protagonisti della cura. Il progetto fotografico Límites riflette, attraverso i ritratti di medici all’inizio e alla fine dello stesso giorno, le esperienze vissute in 24 ore di guardia. È l’evidenza del tempo che è trascorso e che solitamente non solo è invisibile ma non è dato di fotografare. “Siamo noi stessi e il nostro agire”, dicono i volti di questi ragazzi; il lato umano di una medicina che va protetta dalla disumanizzazione.
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