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Tempo Articoli

Il tempo: croce o delizia per le aziende del farmaco?

Quanto sono obsoleti i binari sui cui viaggia il treno ultraveloce dell’innovazione farmaceutica? Claudia Russo Caia, Giuseppe Recchia e Francesca Patarnello.

Lucilla Vazza

Giornalista

By Agosto 2018Luglio 30th, 2020Nessun commento

C’è un tempo per immaginare, un tempo per elaborare e un tempo per realizzare. In mezzo l’attesa e i ritardi, che del tempo sono variabili dipendenti. E se questo vale per le cose della vita, tanto più ha valore nelle cose della scienza, che ha il compito di riportarci dall’astrazione teorica alla concretezza di numeri incontrovertibili e dell’esattezza replicabile. Pena il non essere scienza. Dunque, come il tempo influenza anche le dinamiche dell’industria del farmaco? Sarebbe piuttosto scontato constatare che i tempi sono dettati dalle regole del gioco e dalle leggi di mercato, ma soprattutto dai paletti che ogni paese deve imporsi per governare le politiche di immissione dei farmaci nei sistemi sanitari nazionali. Il punto è che, fatte le regole, l’elastico del tempo si accorcia e si allunga per fattori che hanno più a che vedere con la burocrazia che con la ricerca. Per cui la domanda da porsi è: quanto sono obsoleti i binari su cui viaggia il treno ultraveloce dell’innovazione farmaceutica?

FASI DEL PROCESSO DI RICERCA E SVILUPPO
PRODUZIONE 1 MEDICINALE / CAMPIONE 10.000 MOLECOLE

Fonte: www.efpia.eu

Programmazione e prevedibilità

Claudia Russo Caia, value and access director di Takeda, compie una riflessione sul tema cruciale della prevedibilità e dunque della possibilità per le aziende di programmare le azioni, le risorse umane e materiali, gli step operativi necessari al lancio di un nuovo farmaco. “In Italia, quando parliamo di farmaci, il tempo necessario per tutto il percorso dell’accesso resta il nodo più complesso da sciogliere. Per le aziende è quindi difficile fare previsioni e pianificare le risorse con conseguenze importanti, per esempio sulla produzione del medicinale. Sebbene sia previsto un percorso definito per la valutazione dei farmaci da parte delle commissioni Aifa, non sempre è possibile prevedere i tempi necessari affinché il farmaco sia approvato sul territorio nazionale”, spiega Claudia Russo Caia. Quando poi, finalmente, l’autorizzazione arriva in Gazzetta ufficiale, e dunque nel prontuario terapeutico, passa un altro tempo estremamente variabile da regione a regione perché finalmente possa giungere al paziente.

Dove si può intervenire e come? “Ogni innovazione farmacologica significa nuove chance per i malati, le aziende possono fare molto per ottimizzare i processi, ma poi in ogni paese è l’autorità regolatoria che fa la differenza. Molti passaggi si potrebbero semplificare. È chiaro che le decisioni sul prezzo devono rimanere in mano a ciascun paese, ma alcuni step scientifici potrebbero essere unificati a livello europeo e non replicati in ogni contesto, soprattutto quando si parla di terapie avanzate.”

Tempo amico e tempo nemico, facce della stessa medaglia. L’Italia gode attualmente di un doppio primato: sono made in Italy tre dei cinque farmaci commercializzati nell’ambito delle terapie avanzate, così com’è all’avanguardia il sistema dei registri Aifa di monitoraggio, che alcuni paesi hanno imitato. Primati di assoluto rilievo scientifico e gestionale, che però sono “depotenziati” da difficoltà organizzative che rendono poco efficace il sistema. E questo è un vero peccato perché dal punto di vista della negoziazione delle condizioni di ammissione al rimborso i registri Aifa sono uno strumento formidabile che consente di contrattare accordi differenti per ognuna delle indicazioni approvate, “ritagliando” l’accordo negoziale sul valore terapeutico del farmaco in quella specifica indicazione.

In Italia il tempo necessario per tutto il percorso dell’accesso al farmaco resta il nodo più complesso da sciogliere. Per le aziende è quindi difficile fare previsioni e pianificare le risorse. — Claudia Russo Caia

Accelerazione e opportunità

Se le prime parole chiave da cui abbiamo iniziato questo ragionamento sono state pianificazione e prevedibilità, il secondo punto da sviluppare è il tempo come accelerazione. Un termine rubato alla fi sica, quale grandezza vettoriale che misura la variazione della velocità nell’unità di tempo. Ossia? Cosa riusciamo a fare nel settore dei farmaci nel perimetro delle scadenze imposte e delle regole assegnate? Qui gioca un fattore decisivo: qualificare il tempo come opportunità. Per fare qualcosa. Quando nel marzo del 1899 la tedesca Bayer registrava l’aspirina per commercializzarla, nessuno poteva immaginare la lunga marcia che di lì a poco avrebbe cambiato il volto della medicina. Con le penicilline, poi i vaccini, via via fi no alle centinaia di brevetti di farmaci chimici. Nel 1982 inizia la storia dei biologici, con la scoperta dell’insulina prodotta per via ricombinante nel batterio Escherichia coli. E in tempi più recenti, l’avvio delle terapie avanzate, messe a punto nel 2009, a base di geni e cellule, settore emergente su cui, come detto, l’Italia è al centro dell’innovazione. Infine l’ultimissimo traguardo delle terapie digitali, a base di app e software in grado di sostituire i farmaci: una rivoluzione di cui si parla ancora relativamente poco, ma che dal 2017 ha fatto immaginare scenari da fantascienza possibile, tanto che l’Fda statunitense sta pensando a un’apposita sezione “digital health” per mettere il bollino ai software terapeutici. Oltre la chimica e la biotecnologia il futuro dei saperi medici sfumerà nell’algoritmo e nei codici digitali di app e videogiochi in grado di curare per esempio i bambini affetti da disturbi da deficit di attenzione e iperattività. Visto da questa prospettiva, il tempo è alleato naturale dell’innovazione, perché progressivamente le cose cambiano in meglio e i pazienti potranno contare su cure sempre più efficaci, personalizzate e rapide.

“Il lato B dell’accelerazione è il fallimento causato dall’eccesso di rapidità”, spiega Giuseppe Recchia, direttore medico e scientifico di Gsk Italia. “Perché se da una parte la compressione dei tempi è alleata del cambiamento, dall’altra la corsa a stare nei tempi imposti dalla legge e la competitività (che non dobbiamo far finta che non esista) crea errori che in parte sono ammortizzati dal risk management, ma per lo più si traducono in clamorosi fallimenti che chiudono esperienze promettenti, che devono poi essere riorganizzate da zero. Il nostro è un tempo dove la riflessione è ridotta e le decisioni sono prese in modo standardizzato, quando spesso ogni scenario dovrebbe portare correttivi, per esempio nella fase della sperimentazione clinica”, puntualizza Recchia. E allora il tempo-opportunità rischia di diventare tempo-boomerang. “Non si può comprimere in modo eccessivo il fattore tempo. Per esempio nella fase dell’arruolamento dei pazienti, l’Italia ha il giusto primato nello sviluppo di terapie avanzate perché in questo ambito il tempo gioca un ruolo diverso. Non si lavora su grandi numeri e su grandi produzioni (come invece avviene per lo sviluppo dei farmaci chimici tradizionali) e in questo caso le dimensioni da piccola-media impresa tipicamente italiana rappresentano un vantaggio. Nel ‘piccolo’ siamo grandi e questo porta record eccezionali, grazie alla sinergia con i nostri istituti di ricerca che per riconoscimento internazionale sono di assoluta eccellenza”, dice Recchia.

Il tempo è la cerniera tra un prima e un dopo che necessita di soluzioni inedite anche a livello normativo. — Giuseppe Recchia

Parallelamente, nello sviluppo e produzione di farmaci chimici e biologici, là dove occorre che il tempo sia metronomo a scandire ritmi e produzione, l’Italia fa più fatica. “Nelle terapie avanzate, la dimensione contenuta dei numeri in cui ci si muove avvantaggia l’Italia che in questo caso usa pienamente il tempo come opportunità”, dice il dirigente di Gsk Italia. L’esigenza di allargare l’agenda della ricerca a malattie senza alternative terapeutiche, spesso scarsamente conosciute, e l’aumento dei costi di sviluppo hanno determinato importanti modifiche del modello verticale di ricerca e sviluppo dell’impresa farmaceutica, favorendo lo sviluppo di ricerca collaborativa e stimolando partnership tra pubblico e privato. Per questo il fattore tempo diventa ancora una volta opportunità. “Il tradizionale sviluppo clinico del farmaco, articolato in sperimentazioni distribuite su tre fasi preautorizzative (esplorative le prime due, confermativa la terza) condotte in via prevalente dalla farmaceutica e in una fase post autorizzativa, in cui intervengono anche promotori non industriali, è oggi in parte superato”, spiega ancora Recchia. “La risposta ai bisogni di salute dei pazienti dipende dalla capacità di ricercare, scoprire e sviluppare farmaci innovativi. Il progresso scientifico degli ultimi decenni ha fornito informazioni senza precedenti sulle basi molecolari delle malattie e consentito di identificare un numero elevato di bersagli biologici per la scoperta di nuovi composti. Trasformare queste informazioni in farmaci è risultato tuttavia difficile e gran parte delle 10mila malattie attualmente note (delle quali 7mila circa classificate come rare) non dispone ancora di un trattamento adeguato. Per questo il tempo è la cerniera tra un prima e un dopo che necessita di soluzioni inedite anche a livello normativo”, conclude Recchia.

Il tempo come risorsa

La terza e ultima parola chiave di questa riflessione è risorsa. E come ogni risorsa non può essere sprecata. Soprattutto nella corsa all’innovazione, a quello che una volta con un po’ di retorica si definiva “progresso”. Lo spreco di tempo nella creazione di nuove terapie appare imperdonabile ma, purtroppo, talvolta inevitabile. E allora la cerniera tra il prima e il dopo, di cui si diceva poche righe fa, rischia di logorarsi e di spezzarsi. “Quando una promessa di cura diventa farmaco, il tempo da risorsa immateriale diventa materia plastica, concretezza fatta di scadenze e carte bollate. Commissioni, richieste, quesiti e risposte. E allora chi lavora nell’industria del farmaco deve fare il possibile per governare quelle fasi, magari apparentemente banali, di prassi, in cui non ci sono terzi esterni a condizionare gli eventi. Essere precisi nell’interazione poi con il mondo clinico-scientifico e con le istituzioni regolatorie dev’essere presupposto e obiettivo ineludibile”: è lo scenario tratteggiato da Francesca Patarnello, vicepresidente market access & government affairs di AstraZeneca Italia.

Quando una promessa di cura diventa farmaco, il tempo da risorsa immateriale diventa materia plastica, concretezza fatta di scadenze, carte bollate. — Francesca Patarnello

“Pensiamo nei minimi dettagli alle risorse materiali, concrete, agli investimenti, a tutto ciò che è tangibile, sottovalutando quanto possa essere fluido il tempo. Comprimere i tempi nell’accesso ai trattamenti e anche quelli nell’accesso alla diagnosi, banale dirlo, regala altro tempo – risorsa preziosa che non può essere ignorata”.

“La cura non è solo l’effetto del farmaco sulla malattia, è anche cura della persona grazie alla qualità del tempo che viene impiegata, per esempio, nell’ascolto del paziente. Purtroppo sappiamo da recenti studi, come quello del Tdm-Cittadinanzattiva, che un medico su tre riconosce di non dare tempo sufficiente ai propri assistiti. Allora il tema del tempo come risorsa diventa qualcosa di ancor più concreto. Una volta che il farmaco termina l’iter di approvazione all’Ema e poi passa nei paesi dell’Unione europea, variano incredibilmente i tempi affinché diventi effettiva la possibilità di cura dei pazienti. La stessa Aifa meritoriamente si è data delle scadenze e le impone alle imprese, ma purtroppo l’agenzia stessa non riesce a rispettarle. Abbiamo un ritardo cronico causato dalle regole sulla prescrivibilità del farmaco, queste rigidità creano un imbuto che rende lunghissimi i tempi. Un nuovo farmaco impiega in media due anni e due mesi (rapporto Favo) per essere effettivamente disponibile per il paziente e ancor prima per il medico che deve impostare la terapia. E, allora, la risorsa tempo diventa nuovamente qualità di vita, che viene a mancare. Perché anche quando non c’è più guarigione e le lancette dell’orologio diventano inesorabili arbitri del fi ne vita, le cure, quelle migliori e innovative, possono fare la differenza – ma devono essere disponibili. A maggior ragione quando le cure sono nelle fasi iniziali della malattia, una nuova terapia deve poter arrivare a destinazione in modo rapido”, sintetizza Patarnello. “Proprio per non sprecare tempo le aziende ricercano anche le migliori modalità di somministrazione, perché siano sempre più rapide, efficaci e semplici da utilizzare. Anche questi passaggi, che sembrano secondari, sono tuttavia essenziali per regalare tempo alla cura. Alla guarigione. Al progresso delle terapie”.