Una mappa della metropolitana. Questo mi è venuto in mente quando ho visto la timeline che l’editore mi ha chiesto di commentare. Una metropolitana bella, come quella di Napoli. Noi abbiamo le stazioni dell’arte (una necessità, per riempire le attese…), questa ha le stazioni della precisione anche se inizia nel 1999 con gli improbabili capelli del giovane Harold Varmus, poi citato nuovamente nel 2015 (ho guardato su Internet e posso dire che nelle foto più recenti i capelli sono paradossalmente migliorati!).
E ha una stazione dedicata al recente annuncio della Precision Medicine Initiative di Barack Obama, con cui il Presidente ha rassicurato l’Unione sul fatto che la ricerca di punta, quella iniziata con il sequenziamento del genoma umano, è ancora nel mirino e nei piani dell’amministrazione americana che si aspetta dalla medicina di precisione un rilevante progresso per le grandi patologie di questi decenni. Significativo, anche se forse era un atto dovuto per un leader che (per rimanere dal barbiere) ha pagato con un rapido incanutimento l’aumento di 5 punti (circa 10 milioni di persone) della percentuale di americani che hanno una copertura assicurativa sanitaria [1] e lascia, purtroppo, ancora in eredità oltre 30 milioni di cittadini sprovvisti di una copertura in caso di malattia [2].
È una metropolitana bella, dicevo, che porta lontano e mi piace immaginare cammini alla luce del sole, non in galleria. Tutta su un viadotto, insomma. E i viadotti, si sa, si reggono su piloni. E la resistenza dei piloni, si sa anche questo, dipende dall’amalgama del cemento. Non dobbiamo perdere di vista gli elementi dell’amalgama che garantisce la solidità della futura medicina di precisione. Ne ho individuati quattro, con luci e ombre.
- L’affidabilità e la interpretabilità delle metodiche diagnostiche. Sempre di più è possibile descrivere in maniera estensiva il quadro delle alterazioni genetiche, frequentemente molteplici, presenti in una cellula neoplastica. E sempre di più diventa difficile assegnare un senso alle informazioni che il sequenziamento genico propone. Quale tra quelle evidenziate è la mutazione o traslocazione che guida la vita di un tumore? Quanto questo quadro è mutevole nel tempo, ad esempio sotto la pressione selettiva di un trattamento medico? Quante e quali anomalie genetiche rappresentano solo un rumore di fondo, se non addirittura un artefatto? Quanto affidabili e che impatto hanno i diversi sistemi di lettura dei test di sequenziamento massivo? Domande cruciali per poterci fidare e per poter dire che abbiamo tra le mani uno strumento che produce conoscenza utile e non solo dati fini a se stessi.
- La metodologia della ricerca. Si può migliorare, certo; tutto nella vita si può migliorare. Si può innovare, anche; si può. Ma non si può accettare che miglioramento e innovazione si traducano, banalmente, nell’accettare per buone evidenze strutturalmente deboli, caratterizzate dalla qualità emotiva e dal sostegno delle grandi aziende farmaceutiche più che dalla attendibilità e verificabilità statistica. Mi preoccupa, ad esempio, che il tema ragionevole della difficoltà di produrre evidenze comparative nel caso di varianti genetiche molto rare di alcune neoplasie si accompagni ad una tendenza (per ora prevalentemente della Food and drug administration) a registrare nuovi farmaci senza disporre dei risultati di studi randomizzati in patologie tutt’altro che rare (i casi più recenti riguardano l’immunoterapia nel melanoma e nei tumori del polmone).
- L’accessibilità. Io ancora non ho chiaro (e temo di essere in buona compagnia) se e come lo sforzo di analisi dei big data che potranno derivare dal milione di americani che entreranno nella Precision Medicine Initiative lanciata da Obama, o le decine di migliaia di geni che verranno esplorati in migliaia di pazienti nel mondo grazie alle metodiche di Next Generation Sequencing si tradurranno nella registrazione nuovi farmaci. Il percorso credo dovrà ancora passare dalla stazione della metodologia della ricerca clinica. Senza il coronamento regolatorio della registrazione non c’è accessibilità. Ma per una accessibilità equa è anche necessaria la sostenibilità, sempre più messa in crisi da un sistema che lascia la definizione del prezzo ad una sola delle parti (chi vende) mentre a chi deve comprare non resta che cercare i soldi, lasciando inevitabilmente i più poveri fuori dalla speranza del progresso terapeutico. Ci vuole uno scatto di reni politico [3].
- L’informazione scientifica. In questo caso ci vuole buon senso, tanto. Per non farsi trasportare dall’entusiasmo [4].
Presentare come pronte-per-l’uso strategie diagnostiche e terapeutiche giustificate ancora solo in condizioni di ricerca può essere un gioco al massacro (dei pazienti e dei medici) se poi, come è possibile, i risultati saranno meno precoci e meno esaltanti di quanto tutti speriamo. E il monito vale non solo per chi informa gli altri per mestiere, ma anche (forse soprattutto) per noi medici-ricercatori, troppo pronti ad esaltarci per i primi risultati incoraggianti che alimentano la fiducia nel fatto che, una volta tanto, sia vera l’ipotesi alternativa.
Buon viaggio a tutti.
Bibliografia
[1] Sommers BD, Musco T, Finegold K, et al. Health reform and changes in health insurance coverage in 2014. N Engl J Med 2014; 371: 867-74
[2] Sommers BD. Health Care Reform’s Unfinished Work – Remaining Barriers to Coverage and Access. N Engl J Med. 2015 Oct 28. [Epub ahead of print]
[3] Perspectives on Cost and Value in Cancer Care. Saltz LB. JAMA Oncol. 2015 Oct 22:1-3. doi: 10.1001/jamaoncol.2015.4191. [Epub ahead of print].
[4] Abola MV, Prasad V. The Use of Superlatives in Cancer Research. JAMA Oncol.
2015 Oct 29:1-2. doi: 10.1001/jamaoncol.2015.3931. [Epub ahead of print]