La medicina di precisione prevede che la selezione dei pazienti da trattare, in base alla combinazione di un farmaco e di un biomarcatore (correlato al meccanismo d’azione del farmaco), si traduca in un beneficio clinico maggiore per un tempo più lungo. Tuttavia, la disponibilità di test molecolari per un numero elevato di biomarcatori ha determinato, ad esempio in ambito oncologico, l’aumento non solo di nuovi farmaci potenzialmente utili, ma anche dei sottotipi di malattie tumorali da trattare. In pratica, attraverso una progressiva segmentazione, anche tumori frequenti sono trattati oggi come malattie rare. Questo ha fatto sì che gli studi clinici relativi alla medicina di precisione siano diventati difficili da condurre attraverso i disegni classici di RCT per la difficoltà nel reclutamento dei pazienti. Ad esempio, se un biomarcatore è presente nel 2% della popolazione (prevalenza tipica di molti segmenti molecolari), la valutazione di 100 pazienti renderà possibile l’inclusione in un trial sulla medicina di precisione solo di due soggetti.
Per discutere le implicazioni sul disegno degli studi clinici e sulle strategie di sviluppo dei nuovi farmaci in oncologia – l’area di riferimento della medicina di precisione – a ottobre 2015 la rivista Nature ha dedicato una review all’argomento [1]. I biomarcatori possono guidare la selezione dei pazienti da includere negli studi ma, preliminarmente, deve essere testata la stessa utilità clinica di ciascun biomarcatore nell’identificare coloro che hanno probabilità di rispondere a una terapia. Una volta disponibili i marcatori, per aumentare l’efficienza degli studi clinici sono stati sviluppati due nuovi disegni: lo studio a ombrello (umbrella trial) e lo studio a canestro (basket trial). Nel primo, i pazienti con un tipo di tumore (cioè con lo stesso organo d’origine) sono esaminati per la presenza di una serie di biomarcatori e su questa base allocati ai bracci di trattamento con i farmaci corrispondenti (ciascun farmaco è accoppiato allo specifico biomarcatore). Nel secondo, i pazienti sono reclutati solo sulla base delle caratteristiche molecolari, e quindi anche tumori che hanno origine in organi diversi possono essere allocati negli stessi bracci di trattamento.
Per superare i limiti di numerosità inevitabilmente associati all’uso dei biomarcatori, un approccio ulteriore, sul quale si stanno concentrando molti investimenti, prevede lo sviluppo di infrastrutture con l’obiettivo di trovare il trial giusto per il singolo paziente. Allo scopo vengono impiegati i cosiddetti “master protocol”, che prevedono l’uso di batterie di test diagnostici per assegnare i pazienti a una rete di trial in corso.
In tutti questi studi, si prevede anche di introdurre caratteristiche di disegni adattativi, in base ai quali i risultati preliminari che via via vanno accumulandosi durante la conduzione possono essere utilizzati (secondo modalità definite a priori) per modificare il corso o la struttura del trial. Disegni adattivi o flessibili non sono una novità e non rappresentano un ostacolo a priori per l’approvazione dei farmaci. Il problema purtroppo sorge quando si effettuano modifiche non previste esplicitamente in anticipo dal protocollo. Ad esempio, quando pur in presenza di risultati negativi è stata presentata per l’approvazione di un farmaco un’analisi ancillare “a posteriori”, che selezionava un sottogruppo di rispondenti sulla base della presenza di un biomarcatore.
In generale, questi nuovi disegni di studio sembrano essere principalmente dedicati ad aumentare l’efficienza degli studi, in altre parole per gestire il numero elevato di biomarcatori che guidano la selezione dei pazienti, innanzitutto nelle fasi precoci dello sviluppo clinico. Tuttavia, per la dimostrazione dell’efficacia clinica (la cosiddetta fase III) non sembrano emergere proposte alternative a quella del disegno RCT, che rimane quindi lo standard di riferimento, in particolare se si vuole procedere con la registrazione presso le autorità regolatorie. Dalla lettura dell’articolo di Biankin et al. [1] emerge che la strada da fare è ancora tanta, i problemi aperti restano molti e, anzi, se ne aggiungono di nuovi. Un primo problema riguarda l’utilità stessa dell’applicazione della biologia molecolare alla pratica clinica. Infatti, fino a che punto vale la pena di caratterizzare la malattia tumorale, tanto da renderla rara e mettere a rischio la fattibilità di condurre studi clinici? In pratica, dobbiamo porre un limite alla “precisione”, visto che la biologia molecolare produce infiniti sottotipi dello stesso tumore sui quali siamo in grado di acquisire solo un numero ridotto di evidenze? L’eccesso di segmentazione, in ultima analisi, impedisce di “validare” un trattamento, con implicazioni sia per la pratica clinica che per il processo regolatorio che porta all’autorizzazione dei nuovi farmaci.
Per la dimostrazione dell’efficacia clinica non sembrano emergere proposte alternative a quella del disegno RCT, che rimane quindi lo standard di riferimento.
Un secondo problema riguarda la stessa definizione di “precisione”. In genere, siamo abituati a pensare che un nuovo trattamento abbia una relazione lineare con un singolo biomarcatore. Tuttavia, sempre più spesso i dati mostrano invece che una serie di biomarcatori è coinvolta nel meccanismo di azione di un singolo farmaco, e quindi più di un biomarcatore è predittivo dell’efficacia clinica. In pratica, il farmaco presentato come “targeted” si scopre come “multi-targeted”. Non è una novità! Si pensi ai farmaci per il SNC, per i quali è noto da sempre che l’equilibrio tra l’attività sui diversi recettori adrenergici, serotoninergici, gabaergici e dopaminergiciautori determina l’effetto del farmaco.
Un problema ulteriore ha a che fare con la “dinamica” del biomarcatore e del target. Anche in oncologia lo stato di espressione di un biomarcatore varia nel tempo, dipende dallo stadio della malattia tumorale e dai trattamenti precedenti. Un paziente che oggi, sulla base del test negativo al biomarcatore, potrebbe essere definito come non responder (non eleggibile), potrebbe diventare eleggibile in momenti successivi. Per rendere ancora più confuse le cose, bisogna considerare che biopsie ripetute in sedi diverse del medesimo organo possono generare profili biomolecolari differenti. Ancora, vi sono studi in corso mirati a determinare l’effetto del farmaco (targeted) nei pazienti che sono negativi al test per un determinato biomarcatore. Si ritorna allora al punto di partenza, quando si deve ancora determinare l’utilità del biomarcatore all’interno di una strategia terapeutica.
Nella ricerca spinta di più biomarcatori come criterio di eleggibilità per la partecipazione agli studi non va dimenticata la prospettiva del paziente. Alla fine, il percorso a ostacoli per eseguire o ripetere esami per vari biomarcatori può risultare deludente, vista la bassa prevalenza di ciascun marcatore, con la conseguente limitazione delle opzioni terapeutiche.
Infine, nella review di Nature viene data enfasi all’approccio che prevede il coinvolgimento dei gruppi collaborativi e delle reti per trovare il trial giusto per il singolo paziente. Viene anche richiamata la necessità di integrare l’assistenza sanitaria e la pratica clinica nel processo di sviluppo della medicina di precisione, e si fa riferimento al ruolo di alcuni grandi programmi finanziati dai governi o charities. Naturalmente, la speranza è che i risultati siano all’altezza delle aspettative. Rimarrà poi comunque da verificare se l’investimento pubblico o non profit riuscirà a contenere il prezzo dei farmaci sviluppati attraverso questo approccio.
Bibliografia
[1] Biankin AV, Piantadosi S, Hollingsworth SJ. Patient-centric trials for therapeutic development in precision oncology. Nature 2015;526:361-70.