Shaila Cavatorti e Davide Sari: Le competenze dell’infermiere del futuro si costruiscono partendo dall’oggi, Il report
Riccardo Falcinelli: Il dettaglio nelle immagini, Il report
Shaila Cavatorti e Davide Sari: Le competenze dell’infermiere del futuro si costruiscono partendo dall’oggi
“Come possiamo da infermieri mantenere e incrementare le nostre competenze in modo che siano coerenti con quello che servirà in futuro anche in risposta ai cambiamenti repentini che dobbiamo essere pronti ad affrontare nello svolgimento della nostra attività, come la pandemia ci ha insegnato?” È la domanda alla base del progetto avviato nel Canton Ticino proprio per comprendere su quali competenze infermieristiche sia indispensabile investire da subito per rispondere alle esigenze di domani e descritto da Shaila Cavatorti e Davide Sari, direttori infermieristici rispettivamente dell’Ospedale regionale di Bellinzona e dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana, nel loro intervento in occasione di “4words 2023 – Le parole dell’innovazione in sanità”, la sesta riunione annuale del progetto Forward.
L’analisi del contesto sanitario è stata il punto di partenza dello studio, avviato prima della pandemia e ripreso subito dopo, che coinvolge gli otto ospedali pubblici per acuti del Canton Ticino, gli istituti oncologico, cardiologico e pediatrico, e una clinica di riabilitazione. E questo contesto è rappresentato sia dai pazienti con i loro bisogni clinici e relazionali, che riguardano anche i familiari e i caregiver, sia dai professionisti con i quali l’infermiere si interfaccia nella dimensione quotidiana del proprio lavoro. La capacità di gestire la complessità dei bisogni dei pazienti in un ambito di relazioni interprofessionali è quindi un aspetto essenziale dell’agire dell’infermiere perché la presa in carico dell’assistito sia davvero efficace.
Ecco quindi, spiegano Cavatorti e Sari, che il mantenimento e il miglioramento delle competenze infermieristiche prendono la forma di un intervento complesso, per attuare il quale è necessario muoversi seguendo quattro percorsi principali, quello della clinica, della ricerca, del management e della formazione, che non devono essere interpretati come compartimenti stagni ma come un continuum entro il quale indirizzare le specifiche competenze.
Partendo dalla competenza clinica, due sono le figure introdotte nel contesto del Canton Ticino per garantire una pratica infermieristica sempre più basata sulle evidenze: una è quella dell’infermiere specialista clinico, più datata, che agisce insieme al proprio caporeparto (il coordinatore infermieristico in Italia) in uno specifico contesto (quello del reparto o del servizio al quale afferisce); l’altra, più recente, è quella dell’infermiere di pratica clinica avanzata, che ha il titolo di master e che agisce in modo più trasversale, occupandosi di una popolazione specifica di pazienti come, per esempio, quella oncologica.
Per garantire il mantenimento delle loro competenze questi professionisti in Svizzera sono iscritti a un’associazione di categoria nazionale, che prevede il rilascio di una certificazione annuale e una valutazione quinquennale per decidere – sulla base dell’esperienza pratica maturata – se confermare o togliere all’iscritto il titolo acquisito.
E il core competence che questi professionisti devono dimostrare di avere, sottolineano Cavatorti e Sari, non riguarda solo le competenze tecniche, ma anche le cosiddette soft skill, che consentono a questi infermieri di svolgere attività di coaching con i propri colleghi, fare educazione terapeutica ai pazienti e ai loro caregiver, sviluppare un pensiero critico rispetto al proprio agire e prendere decisioni etiche.
Il secondo ambito che il progetto descrittoci da Cavatorti e Sari ha deciso di implementare è quello della ricerca infermieristica. L’obiettivo è quello di consolidare gli accordi di collaborazione con le università e di creare in ogni ospedale e istituto un ufficio di ricerca infermieristica, con ricercatori formati in grado di dare risposte basate sulle evidenze ai quesiti che sorgono nell’ambito clinico, proprio a dimostrazione di quel continuum sinergico tra i diversi ambiti di competenze al quale si accennava all’inizio.
La formazione è la terza competenza che deve essere potenziata in vista delle sfide del futuro. Anche se non può essere considerata la panacea di tutti i mali, è però fondamentale secondo Cavatorti e Sari che accompagni il percorso di crescita degli infermieri fin dall’inizio della loro carriera. Per questo nelle strutture svizzere sono state inserite le figure dei consulenti o tutor, con una loro funzione specifica e un riconoscimento salariale adeguato, il cui compito è quello di affiancare gli infermieri alle prime armi. Il tutto senza trascurare l’importanza dell’aggiornamento continuo, che avviene a livello cantonale con l’erogazione di corsi di carattere interdisciplinare e interprofessionale.
Affinché tutti questi professionisti siano messi in grado di svolgere bene e con serenità il loro lavoro è fondamentale, e qui veniamo al quarto ambito sul quale il progetto svizzero è incentrato, che chi ha il compito di coordinare tutte queste figure, in qualità di caporeparto, coordinatore infermieristico o capodipartimento, maturi anche competenze di leadership e management efficaci e adeguate a gestire team più o meno grandi in funzione delle dimensioni dell’organizzazione di appartenenza.
Per sviluppare tali competenze Cavatorti e Sari hanno spiegato di essere ricorsi nel loro progetto alla letteratura scientifica, così da individuare quali potessero essere i comportamenti attesi da parte di chi svolge funzioni dirigenziali in particolare nell’ambito delle soft skill, e quindi delle relazioni interpersonali, della consapevolezza di sé, della comunicazione, dello sviluppo della qualità e della sicurezza delle cure, supportati da evidenze scientifiche. Questi comportamenti sono stati poi condivisi con i quadri intermedi in occasione di workshop o riunioni plenarie per avere anche la loro opinione. A questi comportamenti attesi è stato quindi associato un percorso formativo di massima, seguito da una valutazione, alla quale ogni professionista può riferirsi per colmare le lacune individuate con il proprio responsabile.
Il viaggio per costruire le competenze dell’infermiere del futuro passa quindi attraverso la clinica, la ricerca, la formazione e il management ma non può prescindere, affermano Cavatorti e Sari in chiusura del loro intervento, dalla qualità più importante sulla quale lavorare: l’intelligenza emotiva. Perché è questa intelligenza, forse più di ogni altra cosa, quella che fa sì che chi ha il compito di coordinare il lavoro di altre persone, che svolgono un ruolo di assistenza così importante e delicato, sia in grado di creare un ambiente di lavoro sereno nel quale ognuno abbia la possibilità di esprimere le proprie competenze e realizzare la propria professionalità.
A cura di Mara Losi, Il Pensiero Scientifico Editore
Per approfondire:
• Bonetti L, Barello S, Franzoso-Sartorio C, et al. Protocol for a pilot and feasibility study evaluating a complex nurse-led patient education intervention to promote cancer patient engagement in healthy lifestyle (O-PHE programme). BMJ Open 2022; 12:e066163.
• Cavatorti S, Pezzoli G, Righetti P, et al. Quali sono i bisogni dei caregiver di persone che vivono una condizione di cronicità: ricerca qualitativa. Professioni Infermieristiche 2021; 74(2): 81-88.
Riccardo Falcinelli: Il dettaglio nelle immagini
Sorprende che l’argomento dell’ultimo intervento della sessione mattutina di 4words 2023, dedicata alla parola “competenza”, si concentri sulla capacità di guardare correttamente le immagini. Ma basta pensare quanto tutti, quotidianamente e in vari modi, abbiamo a che fare con le immagini, in ogni ambito, compreso quello sanitario, che il senso di straniamento è subito fugato. Perché dunque è così importante saper guardare, osservare, distinguere le immagini? Quali competenze è necessario sviluppare per porsi correttamente di fronte alle immagini, riconoscerne la tipologia, usarle e fruirne consapevolmente? Lo spiega con dovizia di particolari, in un affascinante percorso storico-artistico, Riccardo Falcinelli, uno dei più apprezzati visual designer italiani, i cui ambiti di studio, di ricerca e professionali, come dichiara egli stesso, «non hanno a che vedere con la verità, ma con quello che le persone credono e con le idee che le persone si fanno, in maniera spesso superficiale, attraverso le immagini». Anche se non ha a che vedere con la “verità”, quanto Falcinelli racconta a Forward contribuisce allo smascheramento di una serie di luoghi comuni sulle immagini, a partire da quello che attribuisce loro una potenza comunicativa di gran lunga superiore a quella delle parole, del testo scritto, e la capacità di dire molto più di quanto è possibile fare con altri sistemi. Per Falcinelli non è così. Le immagini hanno il potere di attirare l’attenzione in maniera veloce e superficiale; il rapporto che instauriamo con loro è di immediata seduzione, coinvolgimento, ma solo raramente ci si sofferma per capire cosa effettivamente stiamo guardando. Le immagini, infatti, spiega Falcinelli, funzionano su associazioni, a loro volta basate su enormi pregiudizi: per tutta una serie di ragioni evolutive, il nostro occhio si è specializzato per fare valutazioni grossolane di quello che ci circonda, non per capire (il che spiega anche il successo della pubblicità) e ciò rischia di rendere le immagini fuorvianti. Anche per tale motivo, rispetto alla massiccia esposizione alle immagini che sperimentiamo in questo momento storico, secondo Falcinelli sarebbe necessario alfabetizzare, insegnare fin dalle scuole primarie come guardare le immagini, e non necessariamente opere d’arte, che corrispondono solo a una piccola parte di tutte le immagini con cui abbiamo a che fare e che usiamo. Ecco, usare è un verbo chiave nell’analisi di Falcinelli, perché, egli sostiene, «ancor prima di essere cose che guardiamo, le immagini sono cose che usiamo e, a seconda dell’uso che ne facciamo, funzionano in maniera diversa e vanno guardate in maniera diversa»: gli acquarelli con cui Galilei rappresenta le macchie sulla superficie della luna, ad esempio, dimostrano come la sua competenza figurativa (Galilei sapeva disegnare e fare uso della tecnica del chiaroscuro) gli abbia permesso di dedurre che quelle macchie corrispondevano a montagne; ma quei dipinti non hanno nulla a che fare con l’espressività e con l’arte, erano il suo modo di costruire un rapporto con ciò che stava vedendo. Un altro esempio di come si possono usare le immagini riguarda il primo disegno del Dna riportato nel famoso articolo di Crick e Watson pubblicato su Nature nel 1953: era una “graficizzazione”, un simbolo dei doppi nastri dell’elica, ma nel tempo è stato trasformato in una rappresentazione che, resa in maniera tridimensionale grazie all’uso di tecniche pittoriche chiaroscurali, quasi fosse un cartone animato della Pixar, non ha più nulla di documentale, e trasmette in maniera distorta nell’immaginario culturale collettivo l’idea che si tratti di qualcosa di esistente che è possibile fotografare.
Completamente differente è l’esperienza di guardare un’immagine di tipo strettamente artistico (spesso il più difficile da decifrare) quale, ad esempio, una natura morta. Normalmente, ricorda Falcinelli, per entrare dentro un’immagine sfruttiamo le competenze che già abbiamo: di fronte a “La zattera della Medusa” di Géricault, in cui riconosciamo un’azione, dei personaggi che si agitano, una tempesta, ci poniamo come se guardassimo un film. Di fronte a un tavolino con tre bottiglie e un bicchiere, come dobbiamo porci, cosa dobbiamo guardare? Le nature morte, ci dice Falcinelli, vanno guardate in tutt’altra maniera, perché non sono rappresentazioni, ma assomigliano a dei diagrammi, a degli spartiti. Le diverse configurazioni di questo genere di immagine da un punto di vista della rappresentazione potrebbero risultare irrilevanti, mentre diventano rilevanti solo se le trattiamo come “composizioni”, pezzi musicali. Guardando alla natura morta come a una composizione, potremmo provare addirittura a “cantarla”: non dovremmo chiederci che cosa racconta, ma come funziona, come suona. Se di fronte a quel tipo di immagine ci domandassimo che cosa rappresenta, non vedremmo niente, perché il vero soggetto del dipinto non sono le bottiglie ma è lo sguardo dell’artista. Le innumerevoli ripetizioni di soggetti quasi identici, nelle nature morte di Cézanne o di Morandi che il relatore ci mostra, in termini filosofici vanno considerate pertanto delle “variazioni” sul guardare, quindi non la realtà ma la relazione dell’artista con la realtà espressa nel modo per lui più ragionevole possibile da un punto di vista emotivo. Non sempre, infatti, quello che guardiamo ha un rapporto con la realtà, come le immagini digitali tridimensionali che mimano in maniera illusionistica il nostro modo di guardare il visibile vorrebbero farci credere: la presenza di una piccola pennellata pura, un tocco di colore al crocevia delle diagonali della bellissima Natura morta con pesche, calice d’argento, uva e noci di Chardin (1759), che Falcinelli ci mostra in chiusura del suo intervento, ad esempio, non sembra avere un rapporto con la realtà, ma è un elemento di inestimabile e insostituibile valore compositivo, non valutabile con altri sistemi se non quelli pittorici o musicali.
E quindi come si realizza la competenza di fronte alle immagini? Falcinelli risponde che la prima competenza è rendersi conto di che cosa stiamo guardando, cioè se quel tipo di rappresentazione che ci viene presentata è una fiction, un dipinto, un documento, una rappresentazione, un simbolo, un diagramma, una metafora… Una volta, i confini tra questi elementi erano più chiari e definiti, ora sono molto più labili e la tecnologia aggiunge altre categorie, come le immagini statistiche prodotte da algoritmi generativi: sembrano fotografie e, poiché generate in base alla quantità (sempre molto disuguale) di dati reperibili in rete, possono rivelarsi molto pericolose da un punto di vista politico e sociale. Per questo oggi è tanto più necessario insegnare alle persone che cosa significa guardare un’immagine e, di fronte a un’immagine, chiedersi sempre: che cosa stiamo guardando?
A cura di Silvana Guida, Il Pensiero Scientifico Editore
Per approfondire:
• Falcinelli R. Figure. Torino: Einaudi, 2020
• Falcinelli R. Cromorama. Torino: Einaudi, 2017