Sir Michael Marmot: “Do something, do more, do better” [Leggi la versione in inglese] Il report | Il video
Richard Wilkinson: l’equità come presupposto per la sostenibilità [Leggi la versione in inglese] Il report | Il video
Silvio Garattini e Sabina Nuti: sostenibilità e salute, serve maggiore consapevolezza? [Leggi la versione in inglese] Il report | Il video
Sir Michael Marmot: “Do something, do more, do better”
Questo l’invito forte, convincente e appassionato che Sir Michael Marmot fa risuonare di fronte alla platea presente alla quarta edizione del convegno 4words, nella sessione dedicata alla sostenibilità; un’esortazione, rivolta sia ai governi che ai singoli cittadini, a entrare in azione per ridurre le disuguaglianze sociali e di salute e realizzare la sostenibilità di cui le future generazioni hanno bisogno.
La battaglia per l’equità di salute e quella per la sostenibilità, secondo il noto epidemiologo britannico, sono infatti sovrapponibili e potrebbero far parte di un unico programma: Marmot lo dimostra mettendo a confronto i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu nell’Agenda 2030 e le istanze contenute in “Just societies: health equity and dignified lives”, il report pubblicato nell’ottobre del 2019 dalla Commission of the Pan American health organization on equity and health inequalities in the Americas (Paho), di cui è presidente.
Il report analizza le cause che influiscono sullo stato di salute delle popolazioni prese in esame e propone azioni finalizzate a ridurre le disuguaglianze di salute. L’assunto di partenza è che la salute sia determinata da fattori sociali quali il livello socioeconomico, il gruppo etnico di appartenenza, il genere, ecc., ma anche da tre specifici elementi strutturali che hanno notevoli ricadute sulle condizioni della vita quotidiana delle persone:
- il contesto politico, sociale, culturale ed economico;
- il cambiamento climatico, l’ambiente naturale, il rapporto con il territorio;
- il perdurare di colonialismo e razzismo.
Ma in concreto, come intervenire? “È necessario creare le condizioni affinché le persone possano vivere una vita dignitosa”, afferma Marmot, “solo allora avremo creato anche le condizioni per la promozione dell’equità nella salute”; per far questo due sono i meccanismi principali: promuovere i diritti umani e agire sui determinanti sociali di salute e sul buon governo, elementi tutti strettamente connessi.
Ma Marmot sgombra innanzitutto il campo da assunti fuorvianti, come quello che vede la buona salute dipendere soprattutto dal reddito in sè: illustrando il livello del reddito nazionale del Costa Rica con un Pil di 17.000 dollari pro-capite, aggiustato per potere d’acquisto, e quello degli Stati Uniti, 58.000 dollari pro-capite, Marmot dimostra che semplicemente non c’è alcuna relazione tra reddito nazionale e aspettativa di vita. “Non è diventando più ricco che un paese può ottenere una migliore salute per i suoi cittadini”, afferma il noto epidemiologo. Gli Stati Uniti hanno un Pil pro-capite più elevato del 20 per cento rispetto a quello del Canada, ad esempio, ma hanno un’aspettativa di vita tra i 2 e i 4 anni inferiore.
Anche i dati relativi a disuguaglianze e mortalità lo confermano: se è vero che un cittadino statunitense con un livello socioeconomico elevato potrà attendersi un livello di mortalità effettivamente più basso che in Costa Rica, è vero anche che con un livello socioeconomico basso il cittadino americano avrà una mortalità superiore a quella del cittadino del Costa Rica. In termini puramente di reddito, il povero americano è comunque molto più ricco del povero costaricano ma, dichiara Marmot, “in termini di salute conviene essere povero in Costa Rica!”: la salute non è solo questione di reddito. Le disuguaglianze nella mortalità sono più forti, il gradiente è più ripido, e quando parla di gradiente sociale Marmot intende non solo che il povero avrà una cattiva salute, ma che più in basso ci si trova nella scala sociale, più elevata sarà la mortalità e inferiore l’aspettativa di vita, maggiore il fardello per la salute: un fenomeno, questo, piuttosto marcato negli Stati Uniti.
Sono le disuguaglianze in termini di potere, denaro e risorse a causare iniquità di salute. “Le disuguaglianze di salute non sono una nota in calce alla questione di salute, sono la vera questione”, afferma con forza l’epidemiologo, e bisogna perciò intervenire sui loro determinanti con azioni sociali mirate e volontà politica: l’Argentina, ad esempio, ha ottenuto la riduzione delle disuguaglianze di reddito grazie a un esteso sistema di protezione sociale basato su trasferimenti “in kind” (spese pubbliche che si traducono in prestazioni di servizi e simili) e “diretti” (tasse e sussidi); il Costa Rica è intervenuto sull’ambiente già nel 2016 utilizzando energie rinnovabili quasi al 100 per cento.
Se ci si rende conto poi del ruolo svolto dall’istruzione nel favorire lo sviluppo di una vita dignitosa, si può capire l’importanza degli interventi finalizzati a facilitare l’accesso al sistema educativo fin dalla prima infanzia: frequentare la scuola materna è fondamentale perché predittivo di risultati scolastici migliori, della possibilità di conseguire una qualifica che può garantire un maggior reddito, condizioni di vita migliori, maggior controllo della propria vita e una salute migliore. E tutto a partire dalla prima infanzia. Semplici interventi a livello prescolastico possono fare un’enorme differenza, così come provvedimenti di tipo economico possono contribuire a fermare la mortalità infantile: lo si vede in Brasile dove il piano di trasferimento condizionato di denaro “Bolsa Familia” sovvenziona le donne povere purché i bambini aderiscano a un programma di nutrizione e di controlli sanitari e i bambini più grandi restino a scuola. Il risultato è una riduzione della mortalità infantile sotto i cinque anni (dovuta in particolare a diarrea e malnutrizione) tanto più rilevante quanto più estesa è l’area geografica coperta dal programma. Un risultato simile lo ottengono le ampie reti di sicurezza sociale operative in Uruguay e in Cile, dove la copertura è del 90 per cento per le persone che si trovano nel quintile di reddito più basso: “È possibile fare un’enorme differenza molto rapidamente!” sottolinea con passione Marmot.
Dall’infanzia alla vita lavorativa, un grave problema in tutte le Americhe è il lavoro cosiddetto “informale”, ossia non regolamentato da norme legali o contrattuali, che implica condizioni lavorative e di salute sul lavoro decisamente peggiori. Fortunatamente il trend nel tasso di “informalità”, annuncia Marmot, è positivo in quasi tutti i paesi latino-americani. Così come sono confortanti, sebbene con grandi variazioni tra i paesi, le percentuali di persone anziane che in Sudamerica ricevono una pensione contributiva di sicurezza sociale, l’unico modo per aiutarle ad avere una vita dignitosa.
Per sperare di poter intervenire sulle disuguaglianze di salute, è necessario pensare in termini di “macro-drivers”, suggerisce Marmot, perché sono questi che influiscono sulla salute delle persone. E ciò vale anche per la prevenzione della violenza, che sia dovuta al traffico di droga (come nel caso delle persone coinvolte negli scontri tra cartelli) o che si tratti di violenza di genere, come accade in Bolivia, dove i due terzi delle donne sono vittime di un episodio di violenza perpetrato dal proprio compagno. “È una proporzione tragica”, denuncia Marmot, “e segue il gradiente sociale: meno educazione, comunità più deprivate, maggiore rischio di violenza domestica da parte del partner. Il diritto delle donne di vivere una vita dignitosa non può essere affermato se accade questo”.
Il grande assente di questo excursus su promozione della salute e sostenibilità sembrerebbe essere, paradossalmente, proprio il sistema sanitario, ma alla fine Marmot ne spiega il motivo: “L’assistenza sanitaria è di vitale importanza, ma spendere semplicemente di più per il sistema sanitario non è la soluzione”. Gli Stati Uniti, pur spendendo più del Cile per la sanità, non ottengono migliori risultati in termini di salute e aspettativa di vita. Per questo Marmot ribadisce che, nel contesto di una discussione sulle iniquità di salute e sulla sostenibilità, i determinanti sociali sono centrali: “Il programma sullo sviluppo sostenibile ha evidenziato l’importanza del concetto di equità intergenerazionale che va applicato non solo ai sistemi sanitari ma anche ai determinanti sociali e alla sostenibilità: se vogliamo che il mondo da lasciare ai nostri figli e nipoti sia un luogo sostenibile dobbiamo mettere in relazione le varie forme di iniquità”, conclude Marmot. “Buon governo e diritti umani: sono queste le chiavi per agire efficacemente sulle disuguaglianze”, e la frase di Nelson Mandela con la quale chiude la sua relazione non poteva essere più appropriata.
“Overcoming poverty is not a gesture of charity. It is an act of justice. It is the protection of fundamental human rights, the right to dignity and a decent life.” – Nelson Mandela, London 2005
A cura di Silvana Guida, Il Pensiero Scientifico Editore
Commission of the Pan american health organization on equity and health inequalities in the Americas. Just societies: health equity and dignified lives. Washington, DC: PAHO, 2019.
Video abstract
Richard Wilkinson: l’equità come presupposto per la sostenibilità
“Molte persone credono che le disuguaglianze contino solo quando creano povertà. Io vorrei invece che le pensaste in termini relazionali”. Si è aperto così l’intervento di Richard Wilkinson, professore emerito di epidemiologia sociale dell’University of Nottingham e autore di diversi saggi sul tema delle disuguaglianze, nel corso della sessione dedicata alla sostenibilità dell’edizione 2020 del convegno 4words. Dal suo punto di vista, infatti, i numerosi effetti associati alle disparità di reddito hanno a che fare con meccanismi piscologici di dominanza e subordinazione, di superiorità e inferiorità, che influenzano la percezione di sé e generano ansie e preoccupazioni relative al giudizio degli altri.
Nella prima fase della sua relazione Wilkinson ha presentato una serie di correlazioni tra il livello di disuguaglianza di reddito di un paese, definito come il rapporto tra il reddito medio del 10 per cento più ricco della popolazione e quello del 10 per cento più povero, e diversi parametri sanitari, economici e psicosociali. Il primo di questi studi riguardava la partecipazione a gruppi locali e organizzazioni di volontari [1]: “Rappresenta la coesione sociale, la vitalità della comunità, quanto abbiamo a che fare con gli altri a un livello locale – ha spiegato – e vedete che il tasso di partecipazione alla vita comunitaria è molto più elevato nelle società più egualitarie”. Il secondo parametro considerato è stato invece il livello di fiducia reciproca, il quale viene indagato in ambito di ricerca ponendo domande come “pensi che le altre persone siano degne di fiducia?” Queste survey mostrano che nei paesi meno egualitari la gente si fida sostanzialmente meno degli altri. Altri studi hanno poi dimostrato che nelle società meno egualitarie le persone sono meno inclini ad aiutare i soggetti più bisognosi, come i disabili o gli anziani. “Diventiamo essenzialmente più anti-sociali”, ha spiegato l’accademico inglese. “E ci sono studi, provenienti da tutto il mondo, che dimostrano che anche i tassi di omicidio aumentano, perché la violenza scaturisce nelle persone che si sentono non rispettate, umiliate” [2]. Altre ricerche, infatti, hanno preso in considerazione il livello di felicità e di salute della popolazione, dimostrando quanto sia importante la qualità delle relazioni sociali esistenti tra i membri di una comunità. “Quanti amici abbiamo? Siamo coinvolti nella vita di comunità? Qual è la qualità delle nostre relazioni? Sono aspetti assolutamente fondamentali, sia per la felicità che per la salute”.
Wilkinson ha poi elencato una lunga serie di altri parametri risultati correlati al livello di disuguaglianza di reddito dei diversi paesi, tra cui la mortalità infantile, il benessere dei bambini, il bullismo scolastico, il livello di conoscenza matematica e letteraria, l’abuso di droga, il tasso di incarcerazione, la salute mentale, l’obesità, la mobilità sociale e l’aspettativa di vita. “Sembra poco plausibile che out-come così differenti siano realmente influenzati dalle disuguaglianze – ha spiegato – ma in realtà tutti questi fattori hanno un elemento comune: si tratta di problemi caratterizzati da un gradiente sociale. (…) Non parliamo di niente di diverso da ciò che abbiamo sempre definito classe o status”.
Sono ormai disponibili molte evidenze relative anche alle cause di questi fenomeni, le quali mostrano come nelle società meno egualitarie le classi sociali o gli status socioeconomici diventino più influenti. “Le maggiori differenze materiali portano a maggiori distanze sociali – ha sottolineato Wilkinson –, tendiamo a giudicarci basandoci maggiormente su classi e status e a considerare il benessere esteriore come indice di quello interiore. E di conseguenza ci preoccupiamo maggiormente di come siamo visti dalle altre persone: le nostre ansie relative a come gli altri ci giudicano aumentano”. Un tipo di ansia, questo, che nelle società meno egualitarie si manifesta in modo maggiore a prescindere dal livello di reddito. Mostrando un grafico relativo all’ansia da status tra gruppi con reddito diverso, infatti, Wilkinson ha messo in evidenza come questa sia sempre inferiore nei paesi più egualitari rispetto a quelli meno egualitari. “Quello che la disuguaglianza fa è minare la nostra sicurezza circa il nostro valore – ha aggiunto – e questo vale per molte forme di stress cronico di cui conosciamo la biologia e i meccanismi attraverso cui impattano sulla salute”.
Negli studi che hanno indagato quali elementi facciano aumentare maggiormente i livelli di cortisolo, associati al livello di stress, è infatti emerso che i compiti più impattanti sono quelli che includono una minaccia di tipo socio-valutativo. “Situazioni in cui puoi essere giudicato negativamente”, ha spiegato Wilkinson. “Questo è ciò che emerge da una meta-analisi di 208 studi diversi: siamo particolarmente sensibili a questo tipo di insicurezze, alle preoccupazioni relative a come gli altri ci vedono e ci giudicano [3]. E ora grazie al lavoro di Shery Johnson e i colleghi dell’University of California conosciamo anche il perché di questa nostra sensibilità, grazie a quello che lei definisce il ‘Sistema di dominanza comportamentale’” [4]. Secondo questo modello, infatti, l’ansia e la depressione sono associate a sentimenti di subordinazione e sottomissione e dal desiderio di evitarli, mentre i comportamenti distruttivi e i tratti maniaco-narcisistici sono associati a auto-percezioni di potere o a una maggiore attenzione al predominio sociale. Nelle società meno egualitarie, quindi, le persone hanno una probabilità maggiore di esperire sentimenti di bassa autostima e trovano il contatto sociale più stressante. “Ci sono due tipologie di risposta nelle società meno egualitarie: le persone che parlano bene di sé stesse, e diventano narcisiste o addirittura psicopatiche, o quelle che si deprimono o evitano la vita sociale”.
Il professore emerito di epidemiologia sociale dell’University of Nottingham ha quindi terminato il suo intervento parlando proprio della relazione tra disuguaglianze e cambiamenti climatici. “Penso che una maggiore equità sia una condizione necessaria per muoversi verso una maggiore sostenibilità ambientale. Sappiamo che nei paesi meno egualitari i leader economici giudicano meno importanti gli accordi internazionali sul clima, mentre in quelli più egualitari hanno una probabilità maggiore di agire in favore dell’ambiente. Sappiamo anche che le persone riciclano di più nei paesi più egualitari e utilizzano di più la bicicletta per muoversi. Penso che parte di questo collegamento con i problemi ambientali riguardi il primo aspetto che vi ho mostrato: la coesione sociale. Se hai meno contatto con le altre persone le tue interazioni sono maggiormente mediate da competizione di status. Infine, sei meno consapevole del bene pubblico, il bene dell’umanità, che è un concetto assolutamente cruciale per affrontare la crisi climatica”.
A cura di Fabio Ambrosino, Think2it
Bibliografia
[1] Lancee B, Van de Werfhorst HG. Income inequality and participation: A comparison of 24 European countries. Social Science Research 2012;41(5):1166-78.
[2] Daly M, Wilson M, Vasdev S. Income inequality and homicide rates in Canada and the United States. Canadian Journal of Criminology and Criminal Justice 2001;43:219-36.
[3] Dickerson SS, Kemeny ME. Acute stressors and cortisol responses. Psychological Bulletin 2004;130(3):355-91.
[4] Johnson SL, Leedom LJ, Muhtadie L. The Dominance Behavioral System and Psychopathology. Psychological Bulletin, 2012;138(4):692-743.
Video abstract
Sostenibilità e salute: serve maggiore consapevolezza?
“Se penso alla parola sostenibilità, mi viene immediatamente in mente il Servizio sanitario nazionale”. Ha aperto così la sessione dedicata alla sostenibilità Silvio Garattini, chair della sessione e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. “Oggi il Ssn lo diamo per scontato, per acquisito, ma la sua sopravvivenza dipende da noi”. Secondo Garattini la nostra società tende ad affermare il diritto alla salute, ma dimentica che i diritti si accompagnano ai doveri. E uno dei doveri che abbiamo è quello di mantenere la nostra salute perché se non lo attuiamo non danneggiamo solo noi stessi, ma l’intera comunità. Non tutti i buoni stili di vita dipendono da noi, però, perché molti dipendono dalla società in cui viviamo: i cosiddetti determinanti sociali. “Penso che ciò che dobbiamo portare a casa da questa sessione e dalla parola sostenibilità è l’impegno a diffondere questi concetti. I determinanti sociali hanno un grande impatto sulle differenze tra nord e sud: dall’obesità, al tasso di mortalità. Questo pensiero deve entrare nelle scuole elementari, nelle scuole di medicina, nei ministeri, nel Parlamento. Se ci mettiamo tutti insieme riusciremo a fare grandi cose”.
“Il tema affrontato oggi dai due relatori è stato prima di tutto un tema di coscienza sociale e di consapevolezza”. La pensa allo stesso modo Sabina Nuti, rettrice della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che ha riassunto in questo modo gli interventi di Sir Michael Marmot e Richard Wilkinson, due pilastri dell’epidemiologia sociale. I due relatori, con prospettive diverse ma integrate tra loro, hanno infatti mostrato quanto il tema delle disuguaglianze e dei loro determinanti sia cruciale anche in campo sanitario. Differenze in termini di salute e di prospettiva di vita hanno alla loro origine troppo spesso problematiche di tipo socioeconomico: il livello di educazione, il livello di democrazia in un contesto sociale. “Dobbiamo mantenere alta l’attenzione su questo tema – conclude la professoressa – e chiedere alla nostra politica di lavorare con una prospettiva di medio-lungo periodo, legando il tema della sostenibilità al cambiamento del nostro sistema mondo: cambiamenti climatici, giustizia, lotta alla povertà”.