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Fake e postverità

Lee McIntyre, Sergio Della Sala, Francesca Patarnello, Roberta Villa

Lee McIntyre: dalla postverità all’attitudine scientifica
Il report | Il video

Sergio Della Sala: comunicare la scienza tra evidenze e postverità
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Francesca Patarnello e Roberta Villa: comunicare la scienza tra evidenze e postverità
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Lee McIntyre: dalla postverità all’attitudine scientifica

“Viviamo in un mondo in cui la menzogna è dilagante e il senso di responsabilità assente, dove le forze dell’ideologia hanno preso il sopravvento e minacciano la verità”. Si è aperto con queste parole l’intervento di Lee McIntyre, ricercatore di filosofia della scienza della Boston university e docente di etica presso l’Harvard extension school, all’edizione 2019 di 4words – Le parole dell’innovazione in sanità. Partendo dal concetto di postverità – al centro del suo ultimo libro, uscito nel 2018 e intitolato proprio Post-truth – il filosofo statunitense ha descritto i meccanismi che hanno portato nel corso del ventesimo secolo all’emergere del fenomeno della postverità e proposto una possibile strategia per superarlo. Perché, come ha spiegato nella sua introduzione, “quelli di noi che hanno a cuore la verità devono trovare un modo per combattere questa situazione”.

“Il concetto di postverità – ha sottolineato riprendendo la definizione degli Oxford dictionaries – fa riferimento all’idea per cui le nostre credenze sono influenzate più dalle emozioni che dalle evidenze”. I fatti empirici (“quelli riguardanti il mondo e la sua natura, che possono essere verificati”) hanno perso progressivamente di importanza, finendo per cedere il passo a narrazioni scollegate dalla realtà e utili a perseguire obiettivi commerciali o politici. Dalle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a quelle di alcuni politici italiani, non è difficile trovare esempi di questa tendenza. “Nella sua forma più pura – ha spiegato il filosofo – la postverità è una forma di dominazione politica: la subordinazione della verità all’ideologia. Non è importante che una persona creda a quello che dice, ma che sia abbastanza potente per dirlo”.

Ma come si è arrivati a questa situazione? Le cause individuate da McIntyre sono diverse: l’esistenza di bias cognitivi (come il cosiddetto “bias di conferma” o l’effetto Dunning-Kruger), il declino dei media tradizionali, l’emergere dei social media, l’affermarsi della filosofia postmoderna. Tuttavia, secondo il filosofo statunitense il fattore che più di tutti ha contribuito all’emergere della postverità è il negazionismo scientifico. Partendo dalle vicende di Galileo Galilei – che “quattro secoli fa fu costretto ad abiurare le sue idee sul movimento della Terra” – McIntyre è arrivato a descrivere quello che ritiene l’episodio storico che, dal suo punto di vista, ha innescato la perdita di fiducia nei confronti della scienza a cui assistiamo oggi: la strategia comunicativa messa in atto dalla lobby del tabacco quando negli anni cinquanta stava emergendo con chiarezza la relazione tra abitudine al fumo e cancro del polmone.

“Cos’hanno fatto? Hanno capito che quello che dovevano fare era combattere la scienza”. Così, mentre venivano pubblicati i primi risultati sulla relazione tra fumo e cancro, le aziende produttrici di sigarette assumevano i loro esperti di riferimento, finanziavano studi alternativi e compravano pagine di pubblicità sui giornali per veicolare messaggi a loro favorevoli. Questi descrivevano il collegamento tra fumo e cancro del polmone come un argomento controverso, su cui la comunità scientifica non aveva prove certe e stava ancora dibattendo. “Anche se non c’era nessuna controversia su quell’argomento – ha spiegato McIntyre –, facevano leva sull’impossibilità da parte della scienza di stabilire un nesso causale tra due variabili (…) Come ricercatori conosciamo molto bene questo problema: correlazione non significa causazione”.

La strategia della lobby del tabacco, come è noto, ebbe un enorme successo. Tanto che negli anni successivi venne utilizzata per fronteggiare la scienza in merito a svariate altre tematiche, dalle piogge acide al buco dell’ozono, dall’evoluzione per selezione naturale al riscaldamento globale. “I produttori di sigarette avevano fornito alle persone un modo per rinnegare i fatti e le verità a cui non volevano credere, sfruttando la loro ignoranza circa il funzionamento della scienza”, ha spiegato il filosofo. In questo modo, l’idea alla base della cosiddetta “tobacco strategy” aveva di fatto spianato la strada alla postverità. “Perché se uno può mettere in dubbio la veridicità di teorie come l’evoluzione e il cambiamento climatico, perché non dovrebbe farlo anche con tutti gli altri fatti empirici?”.

L’intervento di McIntyre si è quindi spostato sulle possibili soluzioni al problema della postverità. Il filosofo ha raccontato di essere stato all’ultima Flat earth international conference – il più grande ritrovo al mondo di chi sostiene che la Terra sia piatta, tenutosi a Denver, in Colorado, a novembre del 2018 – “per cercare di individuare una strategia efficace per combattere questo tipo di credenze”. Secondo il filosofo, l’aspetto più interessante di questa iniziativa è stato che gli organizzatori e i partecipanti sostenevano di prendere in considerazione solo argomentazioni basate su evidenze. “Fanno dichiarazioni di natura empirica ma credono che gli scienziati mentano. Sono convinti che l’essere umano non sia mai andato sulla Luna, che le immagini della Nasa siano tutte false”.

Di fronte a questo tipo di ragionamenti, l’errore commesso da ricercatori e scienziati è, secondo McIntyre, quello di girare la testa dall’altra parte e di etichettare in modo sbrigativo queste persone come folli o irrazionali. Un approccio passivo che non ostacola in alcun modo il diffondersi delle idee antiscientifiche. “Dobbiamo tenere sempre a mente una cosa: ogni menzogna ha un suo pubblico”, ha ricordato. “Si pensi alla crisi dei vaccini in Italia, non possiamo più permetterci di non prendere sul serio queste persone”. Allo stesso tempo, è ormai chiaro che la scelta di rispondere a chi non si fida delle evidenze scientifiche portando ulteriori evidenze non è efficace e, al contrario, contribuisce a estremizzare la polarizzazione. Piuttosto, ha spiegato, “bisognerebbe lavorare sulle idee sbagliate che queste persone hanno riguardo la scienza”.

Secondo il filosofo statunitense, per farlo è però necessario cambiare approccio comunicativo. Fino a ora, infatti, per distinguere in modo chiaro tra scienza e pseudoscienza si è andati a cercare dei criteri di demarcazione relativi al campo della metodologia, mentre si è data poca importanza ai valori. “I ricercatori sanno che le evidenze scientifiche sono caratterizzate da un certo grado di incertezza, a prescindere dalla qualità dei dati, così come sanno che una teoria può essere un’arma molto potente. Quindi perché non dirlo?”. Spesso, infatti, di fronte a sostenitori e promotori di idee antiscientifiche, chi si occupa di scienza tende a sua volta a irrigidirsi e a mentire, portando argomentazioni non corrette che descrivono la scienza come un insieme di attività in grado di provare realmente le cose e di arrivare alla verità.

Al contrario, secondo McIntyre, si dovrebbe fare dell’incertezza un valore distintivo della scienza. “È perché i ricercatori riconoscono che ci sono sempre nuove evidenze da raccogliere che le loro asserzioni sono così forti”. Proprio la capacità di mettersi in discussione e di autocorreggersi è, quindi, il “vero valore della scienza”. Negazionisti e pseudoscienziati tendono invece a non fare questo tipo ragionamenti: le evidenze portate a supporto delle loro teorie vengono solitamente considerate tanto certe quanto complete. “Alla Flat earth international conference di Denver ho provato a rivolgere loro quella che è la domanda principale della filosofia della scienza: quali evidenze dimostrerebbero che vi sbagliate? Nessuno rispondeva, evitavano la domanda e cercavano di cambiare discorso”.

L’idea che si debba guardare alle evidenze e permettere a queste di modificare le proprie credenze è quindi, secondo McIntyre, il vero valore che distingue la scienza da ciò che scienza non è. Il filosofo definisce questa caratteristica attitudine scientifica (che è anche il titolo del suo prossimo libro, in uscita a maggio). In conclusione, secondo il filosofo la postverità non si combatte dimostrando che la scienza è perfetta ma, al contrario, mostrando che l’incertezza, per quanto problematica, fa parte di essa. “Penso che l’attitudine scientifica sia l’esatto contrario della postverità. Il crimine commesso da Galileo non era quello di sostenere che la Terra si muovesse ma di credere nelle evidenze empiriche. Credo che oggi l’ideologia politica stia facendo alla verità quello che l’ideologia religiosa fece ai tempi dell’Inquisizione. Quindi dobbiamo finire il lavoro iniziato da Galileo, in nome dell’attitudine scientifica”.

A cura di Fabio Ambrosino, Tink2it

Da leggere
McIntyre L. Post-Truth. Cambridge: MIT Press Ltd, 2018.
McIntyre L. Why Donald Trump and Vladimir Putin lie… and why they are so good at it. NewStatesman, 3 gennaio 2018.

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Sergio Della Sala: comunicare la scienza tra evidenze e postverità, la memoria gioca brutti scherzi

“È necessario aumentare il livello di moralità e di etica della comunità scientifica, dell’informazione che i professionisti della medicina e della scienza immettono nel dibattito pubblico”. Con quest’affermazione si è aperto l’intervento a 4words19 di Sergio Della Sala, professore di neuropsicologia presso l’università di Edimburgo e presidente del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze (Cicap), che da anni studia il rapporto tra il cervello e il comportamento umano, con particolare attenzione ai meccanismi della memoria.

Il messaggio posto in evidenza da Sergio Della Sala è molto semplice: “È vero che ci sono cattivi scienziati, molta pseudoscienza e perfino quelli che credono che la Terra sia piatta, che sono in continuo aumento in tutto il globo. Ma è anche vero che – sebbene si dia la colpa soprattutto ai giornalisti – molto spesso sono gli scienziati stessi che introducono le fake news, le postverità, le falsità. Si parla di evidenza come di un’entità, la verità, in cui tutti si riconoscono. Ma non è così”.

“Quando parliamo di qualcosa, dobbiamo prima definirlo”, ha ammonito Della Sala, proseguendo con affermazioni a effetto e un piglio da attore consumato: “Cosa potrebbe rientrare, per fare un esempio, tra le avventurette sessuali? Fare l’occhiolino in tram conta o non conta?”. Le evidenze di una persona possono essere infatti molto diverse da quelle di un’altra. Chi la pensa contrariamente a te crede di avere le “sue” evidenze, che possono essere diverse dalle tue. Questo porta a una crisi mondiale della pseudoscienza, che viene spesso contrastata da bravissimi divulgatori scientifici che fanno il lavoro di raccogliere tutti i fatti e mettere in guardia nei confronti delle distorsioni che circolano. Ma è una lotta impari perché il nostro cervello non funziona così. Se si riceve un’informazione sbagliata, che viene poi contrastata, la nuova informazione non cancella la precedente per effetto di quella che viene chiamata “influenza continua”. La nostra memoria non è un deposito dove mettiamo tutte le informazioni catalogate all’interno di cassetti e le andiamo a ripescare quando ci occorre, non è un computer o una videocamera. Tutto viene mescolato assieme in un sistema dinamico in continuo movimento e questo ci gioca brutti scherzi. “Quando andiamo a recuperare un’informazione”, ha sottolineato Della Sala, “recuperiamo quello che è confacente ai nostri sistemi semantici, ai nostri pregiudizi, alle nostre conoscenze pregresse. Per questo è difficilissimo fare debunking: una volta che è partita, l’informazione rimane, ha un’influenza continua su quello che sappiamo o facciamo. Bisognerebbe invece fare prebunking: evitare di far circolare stupidaggini! E molto spesso sono proprio gli scienziati a farlo, non i giornalisti o i divulgatori”.

Il filosofo David Hume, ha ricordato il neuroscienziato, dice che un uomo saggio deve mettere in proporzione i suoi sistemi di credenza con le evidenze. Ma noi non siamo esseri razionali, facciamo continuamente errori. Quindi non dobbiamo solo imparare a capire cosa pensa la gente, se vogliamo fare dell’informazione seria dobbiamo anche capire come pensa la gente. Per quel che riguarda le evidenze ci si domanda perché le persone non credono agli esperti. Per la stessa ragione per cui se un critico cinematografico ci consiglia di vedere un film a cinque stelle, per esempio La corazzata Potëmkin, noi piuttosto ascoltiamo quel che dice il vicino e andiamo a vedere Lino Banfi. Noi non crediamo agli esperti, crediamo al vicino, al sentito dire. Gli scienziati parlano molto spesso di evidenze, di dati, di verità come se tutta la gente avesse studiato statistica, ma le persone non ragionano così, non capiscono così la realtà; si basano molto spesso su quel che dicono le persone di cui si fidano. Professionalità e fiducia, però, possono andare in conflitto e allora si crede a chi si crede. Come diceva Albert Camus: “Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre”.

“La scienza descrive ma non prescrive”, ha continuato Della Sala, “altrimenti non è scienza. Non può obbligare le persone a credere in qualcosa. Se quindi il portavoce di una notizia non è credibile, non convince le persone. Non è un fatto di intelligenza o di cultura, siamo tutti creduloni da un certo punto di vista. Una volta un bambino, mentre spiegavo in una scuola come funziona la peer review, mi ha fatto una domanda entusiasmante: ‘Se voi date una risposta in due-tre settimane, come fate a rifare tutti gli esperimenti?’. Io sono rimasto basito, perché aveva ragione. Anche noi scienziati basiamo le nostre scelte sulla fiducia, crediamo a quel che ci viene detto nel nostro campo. Non facciamo niente di diverso da quello che fanno gli altri. La Fnomceo, per esempio, ha lanciato una bellissima iniziativa, un sito per contrastare le bufale in cui si dice che l’omeopatia è acqua fresca e non serve a niente. Peccato che lo stesso ordine dei medici, grazie a delle linee guida, dice che l’omeopatia e altre pratiche alternative di non provata efficacia devono essere esercitate solo dai medici per tenerle sotto controllo. È come dire: ‘Lo so che non si deve rubare, ma se proprio si deve almeno facciamolo fare alla polizia’. In altre parole, sappiamo che queste pratiche non servono a niente, ma proprio per questo è meglio che le facciamo noi! Dunque siamo noi scienziati i primi ad avere responsabilità, a esagerare. Le notizie da noi gonfiate, le press release manipolate vengono poi facilmente travisate dai giornalisti. Un piccolissimo studio individuale fatto sui topi diventa sui giornali: ‘Scoperta la terapia dell’Alzheimer’. Già le riviste ufficiali accettano troppo facilmente i lavori senza fare correzioni. I problemi poi si acutizzano con l’avvento del predatory publishing, ovvero delle riviste che a pagamento pubblicano qualsiasi cosa, anche lavori pieni di errori. Il 75 per cento di queste riviste pubblica studi senza arte né parte che poi vengono diffusi più dei lavori veri perché sono in open access. Il pubblico, così, non riesce a capire la differenza tra verità e falsità. Nel messaggio pubblico i fatti vengono travisati”.

In conclusione, la scienza è un grandissimo sistema di conoscenza democratica: “Anche se non si misura la velocità della luce per alzata di mano – niente si misura per alzata di mano – non vuol dire che non è democratica, la democrazia non è la maggioranza”. La scienza ci dà strumenti per migliorare la nostra vita, ma ha parecchi problemi al suo interno: problemi di influenze di carattere politico, problemi di influenze economiche, conflitti di interesse… Non esistono i buoni scienziati e i cattivi scienziati, esistono un sistema di conoscenza divulgato bene e un sistema di conoscenza travisato, divulgato male, per scarsa conoscenza o per interessi di qualunque tipo. Adesso, che si è molto più democratici, si sa molto di più, si partecipa molto di più al dibattito e questo desiderio di partecipazione delle volte prende una deriva dettata dalla velocità con cui le notizie si diffondono e dalla pochezza di profondità con cui vengono analizzate. La verità conclamata detta da un’autorità non è migliore della non verità non conclamata diffusa da mille voci in una cacofonia. Quindi è necessario abituarsi con senso critico a regolamentare questa meravigliosa e democratica forma di conoscenza, a riassestarne la stessa semantica cercando di entrare nei sistemi di conoscenza della gente. La censura non funziona, funziona l’accettazione della situazione, la partecipazione di tutti alla discussione su come disciplinarla.

A cura di Bianca Maria Sagone, Il Pensiero Scientifico Editore

Da leggere
Per ragazzi – Della Sala S, Dewar M. Mai fidarsi della mente. N+1 esperimenti per capire come ci inganna e perché. Bari: Editori Laterza, 2010.
Per insegnanti – Della Sala S. Le neuroscienze a scuola. Il buono, il brutto, il cattivo. Firenze: Giunti Universale Scuola, 2016.
Per specialist – MacPherson S, Della Sala, S. Cases of Amnesia. Contribution to understanding memory and the brain. London: Routledge, CRC Press, Taylor & Francis Group, 2019.

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Francesca Patarnello e Roberta Villa: accettare l’incertezza e avvicinarsi alla verità

Per Francesca Patarnello, vicepresidente market access & government affairs per AstraZeneca Italia, che ha avuto il compito di aprire la sessione su fake e postverità della terza edizione del congresso Forward, l’unica soluzione al dilagare delle fake news è tornare ad ascoltare. “Ascolto è una parola chiave per affrontare questa sessione: se oggi ci troviamo a ragionare su questo tema è perché negli ultimi anni ci siamo dimenticati che una delle basi per tendere a una verità migliore è quello di essere interessati a farlo e quindi dedicare del tempo all’ascolto e al confronto. Riavere voglia di ascoltare e di criticare è un grande investimento da fare”. Al termine dei brillanti interventi di Lee McIntyre e Sergio Della Sala, Patarnello ha affermato che la frase che più l’ha colpita dell’intera sessione è stata “la scienza descrive ma non prescrive”. “Penso che alla fine la verità per gli scienziati è come l’infinito per i matematici: è una cosa che c’è ma non si raggiunge per definizione”. “È difficile – ha concluso – ma dobbiamo sforzarci sempre di parlare e di ascoltare, pensando che poi le conseguenze delle fake news sono enormi e difficili da sconfiggere. Ricordiamoci ogni giorno delle responsabilità che abbiamo”.

“La scienza non è la verità, ma un qualcosa in divenire. È un processo che cerca di avvicinarci alla verità, che cerca di ridurre l’incertezza su cui dover prendere le decisioni. E in questa sessione abbiamo ascoltato tutti i problemi che ha la scienza con la verità”. Ha riassunto in questo modo la sessione su fake e postverità Roberta Villa, medico e giornalista. A suo avviso, questo approccio dovrebbe essere dato per scontato da tutti coloro che lavorano nel campo della medicina, ma al contrario è messo in discussione da molti. Oggi – ha affermato – non si può dire che vi è un’incertezza in medicina senza essere tacciato per complottista, aumentando enormemente il rischio dal momento che tutto si basa sulla fiducia. “La fiducia non si ottiene dicendo la verità, perché nessuno ce l’ha in tasca, ma con la trasparenza e l’onesti. Se si sbaglia a parlare, come fece la ministra Beatrice Lorenzin dicendo delle centinaia di morti per morbillo a Londra, e tutta la rete si scatena, bisogna correggersi e dire di aver sbagliato per evitare che si inizi a parlare di fake news”. Beatrice Lorenzin non è stato l’unico ministro della salute a essere chiamato in causa dalla giornalista, ricordando nel suo intervento quando Giulia Grillo affermò che nessuno è mai morto per un vaccino. “Una affermazione del genere non è vera perché in passato si è morti per i vaccini di antipolio. E questo possiamo e dobbiamo dirlo, ma aggiungendo che oggi i vaccini sono diversi da quelli di un tempo. Penso che la trasparenza sia fondamentale. Dobbiamo accettare che c’è un’incertezza e aiutare le persone a muovercisi fornendo gli strumenti che la scienza ci dà”.

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